Giungere quaggiù per caso è impossibile, da oltre diecimila anni. Sono questi i millenni che Matera porta sulle sue spalle di tufo, sospesa nella condizione eccezionale di isola terrestre, disgiunta dal resto d’Italia da una manciata di chilometri di ferrovia mai ultimata.

Scavata a mani nude per secoli e costruita con la stessa pietra estratta dal proprio ventre, dall’alto della sua storia gode di un singolare rapporto con il tempo: apparentemente immobile, Matera si evolve inesorabilmente come il suo scrigno di roccia, dalle cui pieghe stillano canti, rumori, musica. Perché qui i suoni si propagano in modo speciale. Vibrano nella pietra, si sprigionano in tutta la loro estensione entro il perimetro di un anfiteatro naturale, che si compie tra la Civita e il suo opposto, la quinta naturale dell’altopiano della Murgia. Basta lanciare lo sguardo negli strapiombi silenti, oltre il muretto che costeggia via Madonna della Virtù, per capire come questa città e la sua gente siano affacciati da sempre su una posizione d’ascolto unica. Nei Sassi ci si può arrampicare con i soli piedi: tra i vuoti caveosi e i pieni di una materia bianca, a Matera si gode di un silenzio irreale, di luoghi abitati per secoli e ora disabitati, come sono tutt’oggi la gran parte delle case-grotta. È il silenzio di un paesaggio incontaminato che si stringe intorno alla città, con i suoi altipiani aridi, le tonalità di verde dei prati e dei boschi, che si inerpicano sino alle pendici delle Dolomiti lucane, è l’abbraccio lunare dei calanchi d’argilla. Una predisposizione all’ascolto che si rivela musica nell’operosa attività di un Conservatorio tra i più frequentati d’Italia, con oltre mille iscritti e tre orchestre sinfoniche, nelle stagioni jazz dell’Onyx Club, che si succedono da venticinque anni, ma anche nell’attività di ricerca e cantautorale di gruppi come i Terragnora, i Marasma, i Peloso Folk.

Sono arrivata a Matera per la quarta volta nel giro di un anno, ma stavolta è stato un viaggio condiviso insieme ai colleghi e agli amici di Radio3, che da venerdì 23 settembre a domenica 25 ha realizzato MateRadio, un festival nato insieme a questa città all’ascolto. Sulla rotta di Matera si sono mobilitati i conduttori, i curatori, i tecnici, i registi delle trasmissioni più amate, cui si sono aggiunti ospiti d’eccezione come Franco Battiato, i fratelli Servillo, Mimmo Cuticchio. Nella Casa Cava, il nuovo auditorium ricavato nel Sasso Barisano, ha suonato per la prima volta un quartetto d’archi, che aveva il volto giovane e le mani infallibili del Quartetto di Cremona; e il giorno dopo, in quella caverna ammodernata, è stato introdotto un pianoforte a coda. La grotta con le sue bocche candide e il lungo strumento nero lucido si sono studiati per un po’, l’uno così estraneo all’altra. Ma poi quando Emanuele Arciuli ha attaccato a suonare i Pezzi lirici di Edvard Grieg il pubblico, assiepato sulle sedute di velluto tutte ancora da sgranchire e sulla pietra levigata da un tempo infinitamente paziente, ha battezzato con il calore degli applausi il sorgere di un nuovo affluente sotterraneo, nato dal legno, dalle corde, dai martelletti e che si è propagato con disinvoltura nei corridoi di quelle grotte. All’esterno, nella piazzetta di San Pietro Barisano e nell’ampio parco del Castello, i materani sono accorsi a migliaia, insieme a molti ascoltatori giunti da ogni parte d’Italia, appunto non per caso. E tra una diretta e l’altra, dall’alto degli speroni delle rocca materana, il panorama a picco sulla gravina ha indotto a un ascolto più sottile, in cui il tono interiore ha trovato fuori una consonanza perfetta.

La città si prepara così alla candidatura di Capitale Europea della Cultura per il 2019 e per una volta, forse per la prima volta, esce allo scoperto, esibendo una personalità dalla fisionomia unica e un’identità colta, forgiata nei suoi festival dedicati alla letteratura e al cinema, con la sua storia inquieta capace di continue scoperte archeologiche, tra le meraviglie ipogee del Museo della Scultura Contemporanea, sino a un centro di geodesia spaziale all’avanguardia.

Tornerò a esplorare Matera e a tendere l’orecchio dietro le orme di Gigi Esposito, che lavora per il Parco della Murgia e che mi ha condotta sino al santuario rupestre di Cristo La Selva: lassù può capitare che il violoncellista Vito Paternoster suoni per pochi intimi, sospinto da un’acustica naturalmente dotata. Seguirò i percorsi fuori città di Raffaele Lamacchia, che mi ha fatto ascoltare il vento di Craco, il paese che si erge tra le dune lucane e che è rimasto orgogliosamente solo sin da quando i suoi abitanti lo hanno completamente abbandonato negli anni Sessanta. Scoprirò eterofonie sempre nuove in quel crocevia musicale che è piazza Sedile, ove si affacciano i tre palazzi del Conservatorio, e che ogni giorno è teatro di un garbuglio sonoro irresistibile, come sottolineato dal direttore, Saverio Vizziello.

Ma a Matera musica è anche il suono degli strumenti rievocati da un passato imprecisato da Tommaso Niglio, il poeta dei fischietti di terracotta e dei cucù. Qui la voce del falco grillaio attraversa ancora l’aria.