Dal 1951, anno di nascita della rivista, sono stati pubblicati
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Una popolazione sempre più anziana, caratterizzata da troppi vecchi e pochi giovani. I limiti e le opportunità di una società segnata da vite in media sempre più lunghe vengono indagati in questo ultimo numero dell’anno. Con lo sguardo rivolto a un futuro difficile per un Paese che oggi è il più vecchio d’Europa.
Attorno al tema delle riforme istituzionali si sono svolti i fili e raggrumati i nodi di qualche decennio di storia repubblicana. Riforma è, oggi più che mai, messa a giorno delle regole che sovrintendono alla vita democratica: le scelte del Parlamento decideranno in buona parte il futuro della Repubblica e quello dei suoi cittadini.
Molte volte abbiamo certificato lo stato di salute precario dell'Unione europea. Altre volte ci siamo detti che il momento era decisivo. Ora lo è davvero, non c'è più tempo: solo un'Europa più forte potrà salvarsi dai nazionalismi.
Una piena crescita politica di un Paese non può non fare i conti anche con l'etica pubblica, il senso civico, i doveri, la storia identitaria di una comunità. Riconoscendo maggiore autorevolezza alle norme che tengono insieme un corpo politico e dando valore alle espressioni di un "sacro civile", per fondare un più forte legame comunitario.
Sono sempre meno, con un presente molto spesso segnato da emergenze e precarietà. E dunque grande incertezza. Sono le giovani e i giovani italiani degli anni Venti del XXI secolo. Come mettono in atto la difficile transizione alla vita adulta? Che cosa ereditano dalle generazioni precedenti e come immaginano il loro futuro?
In pochi anni il mondo che abbiamo visto cambiare dal 1989 a oggi ci ha messo di fronte a nuove emergenze. L'aggressione russa all'Ucraina, la spirale inflazionistica, l'acuirsi della crisi climatica, da ultime, ci costringono a riflettere sui grandi temi: quale mondo ci aspetta e come possiamo prepararci ad affrontarne le sfide?
Anni, anzi decenni, durante i quali lo Stato è stato visto come il responsabile del mancato sviluppo e dell'arretratezza di un Paese. Poi, il suo ritorno sulla scena, non più come palla al piede ma come motore di crescita, non solo economica. È questo il momento per ripensare un nuovo ruolo dello Stato.
Che fine ha fatto quella sinistra che un tempo si poneva a fianco delle classi popolari? Anche al di là del caso italiano, uno sguardo allo stato delle socialdemocrazie e delle forze politiche che sulla carta si presentano come tali aiuta a comprendere il quadro attuale. E a ipotizzare alcune possibili soluzioni.
Chi ha, chi non ha. Chi ha moltissimo, chi quasi nulla. La pandemia ha aperto ancora di più la forbice dei divari, ma i provvedimenti messi in campo si sono rivelati in molti casi palliativi. Per combattere le diseguaglianze e dare senso compiuto alla nostra democrazia, urgono invece politiche strutturali.
Non c'è ormai attività della nostra vita quotidiana che non sia legata in qualche modo alla pervasività delle macchine e delle piattaforme. Dal risveglio al momento in cui la giornata si chiude, la nostra vita digitale non conosce soste. Con tanti vantaggi, non pochi rischi e ancora molte incognite.
Tra pesanti incertezze sulla scena politica interna e crisi internazionale, l'Italia si trova a dover affrontare un periodo tra i più delicati della sua storia recente. La fine della legislatura "tecnica" si accompagnerà a un contesto tutt'altro che lineare. Come saprà cavarsela il nostro Paese nella bufera?
Abbiamo ancora bisogno di intellettuali? Proprio mentre la distinzione fra esperti, sapienti e vocianti si fa sempre più sfumata, è necessario cogliere il ruolo che chi ha conoscenze utili al dibattito pubblico per la crescita di una società potrebbe dare. A poco serve rimpiangere gli intellettuali engagé del passato, se noi stessi non crediamo utile il ritorno sulla scena pubblica di una nuova figura di pensatore non autoreferenziale. A una condizione, naturalmente: che l’accademia sappia ripensare il proprio ruolo rimuovendo gli ostacoli alla formazione di una nuova classe di docenti, con uno sguardo meno ristretto ai propri saperi specialistici e più aperto ai problemi del mondo reale.
Ricostruire: dopo una guerra, dopo una carestia, dopo un disastro naturale come un terremoto o un'alluvione. E, naturalmente, dopo una pandemia. Rimettere in moto processi virtuosi per ridare luce a un futuro per le nostre comunità, per una società più equa e un'economia più sostenibile.
Che cosa si sta muovendo nello schieramento politico che solitamente chiamiamo «destra»? Mentre va a chiudersi la lunga e rilevante parentesi berlusconiana, c’è chi tenta di imporsi come nuovo leader, sia all’opposizione sia all’interno della compagine governativa. Nel complesso, emerge ancora una volta la difficoltà che si riscontra in Italia di mettere insieme un’area di conservatorismo simile a quella presente altrove. Nel frattempo, le forze politiche della destra italiana presenti in Parlamento sembrano restare ancora legate a formazioni che faticano a rimanere nei confini di una democrazia.
L’osservazione di Dahrendorf secondo cui i referendum popolari
non sono strumenti adatti a risolvere le crisi di identità delle
nazioni, ha trovato conferma in questi mesi in cui abbiamo visto il
processo della Brexit andare avanti, fino a raggiungere il suo
punto di svolta, aggravando le diverse crisi che ormai minacciano
la sopravvivenza stessa del Regno Unito e della sua monarchia. La
mossa disperata degli antieuropeisti, inseguire una indipendenza
illusoria per guadagnare qualche piccolo beneficio
economico,
Questo primo fascicolo del 2021 si presenta con una nuova veste
grafica, arricchita da un’illustrazione ispirata dall’assalto del
Campidoglio avvenuto all’inizio dell’anno. L’immagine che si
riflette nel vetro in frantumi esprime efficacemente la scoperta di
una vulnerabilità che non riguarda soltanto la democrazia
statunitense. Tale consapevolezza è maturata negli ultimi due
decenni, quando ci è toccato assistere allo sgretolarsi di buona
parte delle certezze economiche e politiche che ci avevano
accompagnato dalla fine della Guerra fredda all’inizio del nuovo
secolo.
Tra i tanti effetti delle nuove
costrizioni cui la pandemia ci ha costretti c'è anche la riscoperta
della possibilità di vivere fuori dai grandi centri urbani senza
per questo dover rinunciare al proprio lavoro.
Il 3 ottobre 1990 la riunificazione
delle due Germanie, divise per quasi trent'anni dal Muro di
Berlino, veniva ufficializzata. Trent'anni dopo si impone una
riflessione sul significato di quella cesura storica e sulle sue
conseguenze, attese e disattese.
“E adesso?”, ci siamo domandati nel
numero monografico del Mulino dedicato al dopo-pandemia. Una
domanda che, nella situazione attuale, resta ancora senza risposte
precise.
E adesso? È questa, inevitabilmente,
la domanda del dopo-pandemia. Ora nei diversi settori le misure di
intervento dovranno essere rimodulate al di là dell’emergenza. Ma
riusciremo a ripensare la scuola e i nostri sistemi educativi
tenendo sempre presenti le forti diseguaglianze che li segnano?
Non è certo un caso se questo numero
è aperto da un ampio saggio di Carlo Trigilia dedicato allo stato
di fragilità e incertezza in cui si trova il sistema politico
italiano. Un saggio importante, che fa séguito ai due precedenti
pubblicati sul numero 2 del 2018 e sul numero 2 del 2019.
Aperto dall'articolo di Claus Offe
sull'eredità dell'Ottantanove, questo fascicolo, che inaugura
la sessantanovesima annata della rivista, si segnala per gli
interventi che commentano le due elezioni regionali di gennaio.