Le politiche di coesione sono le principali politiche di investimento pubblico a lungo termine dell’Unione europea. Qualche settimana fa la Commissione europea ha pubblicato il Nono Rapporto sulla Coesione economica, sociale e territoriale, che fornisce un quadro aggiornato in materia. Nel periodo di programmazione 2021-2027 l’Italia risulta destinataria di oltre 75 miliardi di euro di fondi di coesione: 42,7 miliardi di fondi europei, in buona parte riservati alle regioni meno sviluppate, cui vanno aggiunte le risorse derivanti dal cofinanziamento nazionale. Del resto, l’Italia ha tradizionalmente goduto di cospicui fondi di coesione, stante gli storici divari tra Nord e Sud e tra aree urbane e rurali.

Scopo delle politiche di coesione è la riduzione delle differenze economiche e sociali tra i territori dell’Unione europea

Scopo delle politiche di coesione è la riduzione delle differenze economiche e sociali tra i territori dell’Unione europea, in modo che i suoi abitanti possano avere accesso alle stesse opportunità, a prescindere dal luogo di residenza, in settori che vanno dai trasporti al lavoro, dalla salute all’istruzione. La coesione chiama in gioco i valori dell’uguaglianza e della solidarietà, ben presenti nella nostra Costituzione. Se la Costituzione non tollera diseguaglianze dovute a sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali, non sono neppure ammissibili diseguaglianze economiche e sociali derivanti da divari territoriali. Sempre la Costituzione impone a tutti il rispetto dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale e la coesione altro non è che l’applicazione di questi doveri nel caso in cui gli enti territoriali presentano gradi diversi di sviluppo. Tant’è che si parla di concezione solidarista dell’autonomismo italiano e la coesione ha proprio l’obiettivo di conciliare il principio autonomista con quello di unità della Repubblica.

L’idea di coesione, se ha sempre fatto parte del nostro tessuto costituzionale, ha invece inizialmente faticato a imporsi nell’Unione europea. Lì, per lungo tempo, è stata notevole l’influenza delle teorie neo-liberaliste pure, che suggerivano di concentrare investimenti nelle aree già avanzate per migliorare competitività e benessere complessivo, piuttosto che focalizzarsi sui territori più arretrati. Solo gradualmente, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, la natura schiettamente economica della costruzione europea si è diluita ed è così emersa la necessità di una politica autonoma e organica di correzione e compensazione degli squilibri tra le diverse regioni europee, squilibri talvolta generati dalla stessa azione comunitaria. La solidarietà economica e sociale ora è un elemento costitutivo del mercato unico e la coesione vincola l’Unione a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo di quelle meno favorite.

Ora, quindi, le politiche dell’Unione europea devono essere concepite in modo che principi liberistici e concorrenziali, da un lato, e solidaristici, dall’altro, definiscano con pari dignità il quadro giuridico del mercato unico. Anzi la Commissione, con il precedente Rapporto sulla Coesione del febbraio 2022, ha anche introdotto il principio del do not harm to cohesion : tutte le politiche europee non solo non possono alimentare disparità territoriali danneggiando la coesione, ma devono anche contribuire attivamente ad essa nell’ambito dei propri obiettivi, intensificando le cosiddette valutazioni d’impatto territoriale. Infine, la Relazione sul futuro del mercato unico, Much more than a market. Speed, security, solidarity, recentemente illustrata al Consiglio europeo da Enrico Letta, presidente dell’Istituto Jacques Delors, sostiene che il mercato unico può funzionare solo grazie a una forte politica di coesione che sostenga tutte le regioni. I benefici per il mercato unico vanno distribuiti in tutta l’Unione, perché, come ha ben sintetizzato la Commissaria per la coesione e le riforme Elisa Ferreira, la politica di coesione è la colla che tiene insieme l’Europa.

Tuttavia, le politiche di coesione e, più in generale, le tematiche legate alle diseguaglianze paiono oggi avere perso attrattiva – come se la loro carica propulsiva fosse svanita. Varie sono le ragioni, fattuali, politiche e giuridiche, di questa disaffezione.

Se, come sostiene Enrico Letta, l’Unione europea dev’essere ben più di un mercato, la politica di coesione è la colla che tiene insieme l’Europa

Anzitutto, nell’attuale contesto di perenne crisi anche i territori maggiormente sviluppati incontrano difficoltà crescenti e pertanto sono poco inclini a solidarismo e integrazione. Inoltre, sul piano europeo le politiche di coesione hanno subito una torsione che ne ha snaturato l’approccio place based, inteso a collegare gli interventi alle specifiche esigenze dei singoli territori. Infatti, i fondi di coesione sono stati impiegati per esigenze impellenti, ma pur sempre contingenti, dell’Unione, come la lotta alla pandemia oppure alla sofferenza energetica, fino ad arrivare alla Strategia per l’Industria della Difesa europea.

Guardando poi in modo specifico alla situazione italiana, sta suscitando alcuni malumori locali il passaggio da una programmazione unitaria in cui i fondi venivano contestualmente ripartiti tra tutte le regioni italiane a singoli accordi bilaterali tramite i quali il governo concorda gli investimenti con ognuna delle diverse regioni. Analogo malcontento serpeggia a livello locale con riferimento alla imminente riforma che prevede di applicare anche ai fondi di coesione il metodo già utilizzato per i fondi, straordinari e temporanei, derivanti dal Pnrr, che sono a gestione centralizzata e sottoposti a uno stringente cronoprogramma e monitoraggio di spesa, con poteri sostitutivi verso le regioni inadempienti e possibilità di revoca nel caso di ritardi. Ciò rende più acuta la tradizionale tensione tra centro e periferia e trasforma ulteriormente l’originaria natura delle politiche di coesione, fin dall’origine caratterizzate per essere costruite dal basso e definite in tutti i loro passaggi in raccordo costante con i vari livelli di governo. Del resto, anche la fase locale di concreta gestione dei fondi presenta non poche criticità. Gli enti territoriali beneficiari dei finanziamenti non sempre hanno impiegato al meglio le risorse ricevute, sia per la complessità delle procedure di spesa, sia per la fragilità organizzativa e la non adeguata capacità gestionale, come sottolineato dalla Corte dei conti.

Tutto ciò, però, non elimina il fatto che le politiche di coesione siano imprescindibili anche e soprattutto ai giorni nostri. Non sono poche le regioni cadute nella cosiddetta trappola dello sviluppo, incapaci di migliorare o anche solo di mantenere i livelli di performance raggiunti in precedenza.

Più nello specifico, se il mercato unico spinge verso la transizione verde e quella digitale quasi a mo’ di mantra, le politiche di coesione sono tenute a limitarne controindicazioni ed effetti collaterali. Come si legge nell’ultimo Rapporto sulla coesione, la transizione verso un’economia climaticamente neutra deve essere realizzata in maniera giusta ed equa – coesa appunto –, perché le diverse regioni non sono nella stessa posizione per beneficiare dei suoi futuri vantaggi. Del resto, i cambiamenti climatici accentuano le diseguaglianze regionali, visto che colpiscono più pesantemente i territori costieri, mediterranei e sud-orientali dell’Unione.

Anche guardando alla digitalizzazione le politiche di coesione s’impongono come necessarie. Sicuramente le nuove tecnologie aumenteranno produttività e innovazione e miglioreranno l’accesso ai servizi, nondimeno esaspereranno le disparità tra le regioni dell’Unione. Esiste un divario digitale dovuto alla mancanza di una capacità omogenea di sfruttamento e impiego delle tecnologie da parte dei diversi territori e solo attraverso le politiche di coesione è possibile cercare di colmarlo.

Nei prossimi decenni un altro cambiamento epocale, quello demografico, interesserà tutte le regioni europee, che dovranno fronteggiare l’invecchiamento della popolazione e la conseguente contrazione della forza lavoro. Il problema si porrà in maniera più acuta nelle regioni rurali e scarsamente popolate, aggravando ulteriormente le diseguaglianze territoriali. Il cambiamento demografico reclama poi già adesso nuove domande di servizi – perché lo sviluppo territoriale si identifica non solo con la prosperità economica, ma anche con il benessere e la qualità della vita –, anch’esse da garantire uniformemente a tutta la popolazione.

Se, dunque, le politiche di coesione mantengono la loro perdurante attualità, nondimeno necessitano di modifiche migliorative. Oltre alla garanzia di una più accorta selezione dei progetti da finanziare, alla semplificazione dei procedimenti di assegnazione dei fondi e delle procedure di spesa, al maggiore coinvolgimento di soggetti privati, imprese e terzo settore, occorre rafforzare le competenze amministrative con tutti gli strumenti possibili, compreso quello finanziario. Solo in questa maniera è possibile sviluppare visioni a lungo termine, acquisire capacità gestionale senza subire la paura della firma, condividere conoscenze ed esperienze e così stimolare l’apprendimento reciproco. Da una strategia di crescita comune tutti ricavano vantaggi, perché esiste un rapporto inverso tra diseguaglianze e senso di comunità.