Non pochi, anche per giustificare le manovre finanziarie (Tremonti) e legislative (Gelmini) sull’università, sostengono con sempre maggiore convinzione che all’Italia tanti laureati, in fondo, non servono. Guardiamo i numeri e confrontiamoci a livello regionale con l’Europa. Partiamo dal dato che fotografa la storia più lontana e indica la necessità di recupero nel tempo lungo: la quota dei laureati sulla popolazione fra i 25 e i 64 anni. Vale a dire l’effetto delle scelte e dei risultati educativi degli ultimi quattro decenni. La media europea è del 24,3%; quindi un europeo “adulto” su quattro è laureato. Le regioni europee dove questo valore è massimo, il che non sorprende, sono quelle del Nord. In particolare quelle britanniche (la prima in assoluto in graduatoria è Londra, con il 48,3%), e quelle di Olanda, Belgio, Danimarca e Paesi scandinavi. Ma ci sono molte delle regioni delle capitali europee. Inoltre, cosa interessante, si trovano anche regioni spagnole: i Paesi baschi, Madrid, la Navarra sono molto in alto in graduatoria. Le regioni italiane non sono messe bene: la prima è il Lazio (ma 178ma su 267 regioni) con il 19,6% di laureati sulla popolazione “adulta”; un valore che è metà di quello di Madrid. Fra le prime regioni italiane c’è anche l’Abruzzo, che ha una percentuale più alta di quasi tutte le regioni del Nord (e non a caso è una regione che è cresciuta molto). La graduatoria europea è chiusa da Puglia, Sicilia, Campania, Sardegna, Val d’Aosta e Bolzano, e alcune regioni molto deboli di Portogallo, Romania e Repubblica Ceca, tutte sotto la metà della media europea.

Vediamo che cosa è successo più di recente: la percentuale di laureati sulla popolazione “giovane”, fra i 30 e i 34 anni. La media europea è del 31,3%: un giovane su tre è laureato. Le prime in graduatoria sono molto simili alle precedenti. Ma c’è qualche interessante novità, legata alla presenza di regioni del Sud Europa. Aumentano quelle spagnole nella parte alta della classifica (i Paesi Baschi sono addirittura al secondo posto in assoluto, con il 58,3%); c’è Cipro (47,1%), c’è la regione di Varsavia (40,7%), ci sono molte aree della Germania orientale (Dresda, 40,6%). Anche in questa classifica per trovare una regione italiana bisogna scendere moltissimo; la prima è daccapo il Lazio (175ma su 267) con il 25,5%; un valore che è ancora la metà di quello di Madrid. Il Veneto è 235ma (17%), come il Peloponneso o la regione agricola dell’Alentejo in Portogallo; un valore che è la metà di quello dell’Estonia, di Lipsia, di Valencia.

L’Unione europea si è data come obiettivo per il 2020 quello di portare questa percentuale al 40%, e la Commissione ha calcolato quanti laureati “mancano” a ciascuna delle regioni che sono sotto a questo livello per raggiungere il risultato. Le regioni a cui mancano più laureati sono tutte italiane e romene: la situazione peggiore è per la Lombardia (143.000), seguita da Campania, Sicilia, Veneto e dal Nord Est della Romania.

Serve avere tanti laureati? La Commissione stima che se l’intera Ue avesse una percentuale di laureati fra i 30 e i 34 anni pari all’obiettivo del 40% il reddito procapite sarebbe più alto del 4%. Peggiore è la situazione attuale, maggiore la distanza dal risultato da raggiungere, maggiore può essere il guadagno. Ad esempio, raggiungendo l’obiettivo del 40% (che, come visto, è stato già superato da molte regioni spagnole) il reddito di Emilia e Lombardia crescerebbe di oltre il 5%, quello di Campania e Puglia di oltre il 10%.

È forse il caso di avvisare i ministri Tremonti e Gelmini.