La Presidenta alla guerra dei giornali. Soltanto poche settimane fa, in Argentina, la firma della Presidenta, Cristina Fernández de Kirchner, ha reso definitive le norme che danno efficacia alla legge sugli audiovisivi, approvata dal Congresso nell’ottobre dello scorso anno. Il provvedimento rappresenta l’ultimo capitolo dello scontro che vede opporsi il governo al gruppo Clarín, uno dei colossi imprenditoriali del panorama argentino. I suoi investimenti si concentrano in particolar modo sulle telecomunicazioni, sui servizi informatici e sulla carta stampata, nel cui ambito il gruppo controlla non solo alcuni tra i principali quotidiani nazionali – le cui testate di maggior rilievo sono Clarín e La Razón – ma anche l’azienda che gestisce il monopolio della produzione della carta per quotidiani. Che il gruppo Clarín possa influenzare le convinzioni e gli umori dell’opinione pubblica è, quindi, cosa indiscutibile. È questo il ‘quadro mediatico’ entro cui, nel 2008, sono emerse le prime frizioni tra Clarín e l’esecutivo, proprio quando quest’ultimo ha proposto di aumentare il carico impositivo sull’esportazione del grano. Dalle colonne del quotidiano Clarín, infatti, si è prestato il fianco alle proteste levatesi dal mondo degli imprenditori agricoli. E, per la prima volta, le relazioni tra il gruppo mediatico e l’esecutivo si sono fatte burrascose. Se è vero che Clarín diventava giorno dopo giorno una delle voci più importanti dell’opposizione alla Presidenta, è vero anche che l’esecutivo non è rimasto a guardare. In prima battuta, il governo ha approvato l’acquisto dei diritti della messa in onda delle partite di calcio. Sicuramente questa decisione si è posta in linea con il processo che aveva portato alla ‘statalizzazione’ di importanti imprese nazionali come, ad esempio, Areolíneas Argentinas. Oltretutto, con il passaggio dalla Tv a pagamento alla Tv di Stato, è stato rescisso un contratto con un’azienda di cui il gruppo Clarín era comproprietario.

L’inasprimento delle relazioni tra Cristina Kirchner e Clarín si è intensificato, quindi, con l’elaborazione e la successiva ratifica della legge sui mezzi di telecomunicazione che, tra l’altro, limita di molto il numero massimo di licenze televisive concesse per ciascun gruppo aziendale (il numero passava, infatti, da 24 a 10). L’esecutivo salutò l’approvazione di questo provvedimento come l’avvio di un processo di smembramento dei monopoli. Ed è il gruppo Clarín una delle aziende che più pagherà le conseguenze della nuova legislazione. Quasi un anno è trascorso prima che fossero approvati i decreti attuativi della legge sui mezzi di comunicazione. Nel frattempo, però, la Presidenta si è mossa anche in altri ambiti con l’intenzione, più o meno velata, di indebolire il gruppo Clarín. L’esecutivo, infatti, proprio di recente sembra aver aperto un nuovo fronte in merito all’impresa Papel Prensa, produttrice di carta per quotidiani. Il maggiore azionista (per il 49%) di questa azienda è, per l’appunto, il gruppo Clarín. L’esecutivo ha denunciato irregolarità nell’acquisto, da parte di Clarín, del pacchetto azionario. Questo passaggio, risalente al 1976, sembra sia avvenuto – secondo la relazione presentata dal governo – sotto la minaccia di ritorsioni e torture da parte dell’ultima dittatura militare (1976-1983). La Presidenta, inoltre, ha promosso, nello scorso agosto, l’annullamento della licenza alla Fibertel, la principale impresa argentina impegnata nel settore dei servizi informatici, che fa capo al gruppo Clarín. Il gruppo, pur avendo goduto (ai tempi dell’acquisizione di Fibertel, nel 2007) del favore di Néstor Kirchner, allora presidente della Repubblica e marito di Cristina, oggi si vede contrastato dal governo anche su questo terreno. Difficile prevedere se stia per calare il sipario sullo scontro tra Clarín e Cristina Kirchner o se, al contrario, emergeranno nuove dispute. Anche se, l’approssimarsi delle elezioni presidenziali (che si terranno nell’ottobre del prossimo anno) fanno già respirare in Argentina un pesante clima da campagna elettorale.