L’agenda politica di Bibi Netanyahu. Dopo una estate che sarà senz’altro accaldata, l’autunno potrebbe rivelarsi torrido per il governo Netanyahu. La vicenda della nave turca Mavi Marmara, parte del convoglio che costituiva la Freedom Flotilla, il cui obiettivo di violare il rigido embargo navale israeliano è stato all’origine del violento scontro con i militari di Gerusalemme, conclusosi con la morte di nove attivisti filopalestinesi, è solo la punta di un iceberg.

Sul tavolo del governo dello Stato ebraico si accumulano infatti i dossier aperti. Il primo di essi rimanda all’annosa questione del nucleare e del trattato di non proliferazione, sottoscritto da 189 Paesi, al quale Gerusalemme non ha invece aderito. La conferenza per la revisione dell’accordo, tenutasi a fine maggio a New York, si è risolta con un ulteriore isolamento del Paese. Il documento finale dell'Onu auspica che Israele aderisca al trattato, mettendo le sue testate nucleari, peraltro mai riconosciute ufficialmente, sotto il controllo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica. Non di meno viene convocata per il 2012 una conferenza internazionale per la denuclearizzazione del Medio Oriente, con l’obiettivo di procedere all’eliminazione dalla regione delle armi di distruzione di massa, alla quale prevedibilmente lo Stato ebraico non prenderà parte.

Il documento finale dell'Onu auspica che Israele aderisca al trattato, mettendo le sue testate nucleari, peraltro mai riconosciute ufficialmente, sotto il controllo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica

Gli Stati Uniti, tradizionali alleati di Gerusalemme, hanno dovuto accettare obtorto collo gli esiti della conferenza, dichiarando il proprio disaccordo con il fatto che Israele sia l’unico paese menzionato nella sezione dedicata alla denuclearizzazione del Medio Oriente. Non di meno i risultati dell’assise hanno riacceso il fuoco polemico contro la politica israeliana in materia di nucleare, con l’Egitto questa volta in prima fila. Il Paese di Mubarak considera infatti un pericolo per la sua sicurezza, nonché per il suo ruolo regionale, il combinato disposto tra l’«ambiguità» di Gerusalemme e i progetti dell’Iran di Mahomud Ahmadinejad. Per Netanyahu la gatta da pelare è grande, poiché alimenta l’attrito con il Cairo nel mentre i rapporti con la Turchia, fino al 2008 tradizionale alleato sul piano militare, economico ed energetico, stanno toccando i minimi storici.

La deriva nei legami con Ankara è un altro dei dossier spinosi. Per parte turca l’atteggiamento di crescente ostilità, che con i recenti fatti di Gaza sembra avere raggiunto un punto di non ritorno, risponde sia ad esigenze di leadership mediterranea, puntando a diventare il soggetto di riferimento per una parte del mondo sunnita, sia a questioni di politica interna, con il ridimensionamento del ruolo dei militari, tradizionali amici dello Stato ebraico.

L’amministrazione Obama, prossima alle elezioni di medio termine, auspica una completa ridefinizione della strategia territoriale israeliana in Cisgiordania, dove Netanyahu appoggia invece la crescita degli insediamenti ebraici

Il terzo, urgente incartamento è quello relativo all’atteggiamento da assumere verso Gaza. L’obiettivo dichiarato dell’embargo è quello di impedire ad Hamas, il movimento islamista che controlla la striscia di terra di 300 chilometri quadrati, di riarmarsi orientando, nel medesimo tempo, le spinte popolari verso il malcontento, nella speranza che esse si convertano in un moto di opposizione collettiva verso l’attuale leadership fondamentalista. Nulla di significativo sembra però essere derivato dalla forte pressione israeliana. Non di meno la severa condotta di Gerusalemme è da più parti accusata di non considerare i molteplici riflessi umani che da essa derivano. Un milione e mezzo di palestinesi si trovano di fatto vincolati dalla dura pressione del cordone militare israeliano ed egiziano. Anche da ciò, ed è l’ulteriore questione aperta, potrebbe derivare una revisione del rapporto con gli Stati Uniti. L’amministrazione Obama, prossima alle elezioni di medio termine, auspica una completa ridefinizione della strategia territoriale israeliana in Cisgiordania, dove Netanyahu appoggia invece la crescita degli insediamenti ebraici. Per il premier si tratta non tanto di una opzione ideologica quanto di una necessità politica, reggendo un esecutivo dove le componenti più radicali, favorevoli all’estensione territoriale d’Israele, hanno una discreta rappresentanza. La debolezza politica di Gerusalemme è evidente. Non di meno, i suoi avversari sono al momento incapaci di approfittarne. Ma non è per nulla detto che le cose siano destinate a rimanere così.