Astra-Zeneca ha ridotto la fornitura di vaccini all’Europa. Dei 120 milioni di dosi promesse per il primo trimestre del 2021 ne arrivano solo un terzo. Markus Ferber, responsabile economico del Partito popolare europeo (Ppe), riassume le difficoltà di approvvigionamento così: «Se in un contratto sorgono obblighi solo per il cliente, cioè la Commissione Ue, e non per il produttore farmaceutico, in questo caso Astra-Zeneca, vuol dire che qualcosa non funziona».

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen chiama in causa la casa farmaceutica anglo-svedese: «Presto avremo le prove dei vaccini Ue venduti ad altri e Astra-Zeneca dovrà restituirli». Ma il danno resta. Ai primi di febbraio in Germania sono 2.091.689 i vaccinati con la prima dose, cioè il 2,52%, mentre 756.333 sono coloro che hanno ricevuto la seconda dose, un’incidenza dello 0.91%. In Italia la situazione non è migliore e per recuperare i ritardi attuali si dovranno vaccinare 2 milioni di persone alla settimana fino alla fine dell'anno. Uno sforzo gigantesco che, date le difficoltà organizzative, non è detto si riesca a compiere.

Al 31 gennaio 2021 – dati Statista – le vaccinazioni in Gran Bretagna erano a quota 13,1% e in Israele al 54%, mentre in nessun Paese dell’Unione europea si riesce ad arrivare al 3%. In Germania è ancora ben presente il monito di Michail Gorbachev, «chi tardi arriva, la vita lo punisce», che suona più severo dell’italiano «male alloggia». Se Cina, Israele, Gran Bretagna, Stati Uniti, per non parlare di Nuova Zelanda, Australia e Corea del Sud, giungono per primi a contenere la pandemia e ripartono con la crescita, per l’Europa le cose si complicano. A settembre in Germania ci sono le elezioni per il Bundestag e gli elettori chiedono quella chiarezza che Markus Söder, presidente della Baviera, brutalizza così: «Per il primo trimestre di vaccino non ce n'è più. Questo è certo. Il ritardo nei confronti degli altri Paesi non lo recupereremo».

Un'indagine della società di assicurazione di credito Euler Hermes attesta che i Paesi dell'Unione europea a oggi hanno un ritardo nelle vaccinazioni di 5 settimane. Le limitazioni delle attività commerciali e produttive che ne derivano portano a un danno di 90 miliardi. L'obiettivo fissato dalla Commissione di vaccinare entro l'estate il 70% della popolazione adulta è ottenibile solo se si moltiplica l'attuale ritmo di somministrazione per sei volte. Solo con una buona percentuale di persone vaccinate, infatti, può ripartire l’attività economica. Il risultato per Euler Hermes, è un guadagno netto di uno a quattro. Vuol dire che per ogni euro investito in vaccinazioni ne vengono risparmiati quattro. Nel frattempo Merkel e Macron scendono in campo per difendere l’operato di Bruxelles. Lo fanno dopo che in un’intervista al «Süddeutsche Zeitung» Ursula von der Leyen ammette gli errori. Avremmo dovuto spiegare ai cittadini che le cose sì, vanno avanti, ma lentamente, e che ci saranno problemi e ritardi, dichiara la presidente della Commissione.

I commenti in Germania sono impietosi. Si parla di «metodo von der Leyen»: grandi annunci e scarsa attenzione al dettaglio. Come ministro prima della Famiglia, poi del Lavoro e successivamente della Difesa la carriera di Ursula von der Leyen è costellata da infortuni. Il restauro della nave scuola «Gorch Fock» è costato ben 135 milioni e ha indotto la Corte dei Conti federale a intervenire. Sempre come ministro della Difesa è passata alle cronache giornalistiche per le consulenze milionarie. Insomma, la stella di Ursula splende all’estero, ma a casa perde brillantezza. All’inconcludenza europea (Trödel Europa) la «Bild Zeitung» contrappone la via nazionale al vaccino. L’accusa al governo è di aver riposto nelle mani sbagliate gli interessi della Germania. Il tema è sempre lo stesso: perché passare per Bruxelles quando BionTech è tedesca e Berlino è potenzialmente autosufficiente? Uno studio della Bertelsmann Stiftung attesta che circa l’8% di tutti gli aventi diritto al voto in Germania manifesta chiare posizioni di estrema destra. Un atteggiamento che riguarda il 29% dei votanti Afd, ma tocca anche il 6% dei seguaci della Cdu/Csu, il 5% dei liberali della Fdp e il 5% della Linke. Più che una condizione politica definita è uno stato d’animo. È un latente nazionalismo il male oscuro che avanza nel vecchio continente. Occorre prevenire una guerra del vaccino tra gli Stati. Se i più influenti e potenti hanno il sopravvento, il sentimento di giustizia dei popoli è offeso.

Aver deciso di delegare alla Commissione competenze sanitarie che erano dello Stato nazionale è quindi un atto di lungimiranza politica che va difeso. Ne va dato atto a Angela Merkel. L’Unione europea, infatti, offre agli Stati nazionali vie di uscita altrimenti precluse. Tuttavia, un autocompiacimento, come a volte traspare da Bruxelles, è fuori luogo. Dire che la Ue è lenta come una petroliera non basta, se non si fa in modo di darle maggiore speditezza. Nell’acquisizione del vaccino sono emerse debolezze strutturali e organizzative della Commissione delle quali va tenuto conto, se non vogliamo far aumentare il disamore verso le istituzioni europee. L’America di Trump e il Regno Unito di Boris Johnson hanno compiuto errori molto più gravi nell’ affrontare la pandemia, tuttavia sono stati più abili nel procacciarsi grandi quantità di vaccino. L’ Europa è stata più accorta nella lotta al virus ma nell’ ultimo miglio si è un po' persa. Imparare dai propri errori è quindi una premessa per migliorare e una condizione necessaria per rafforzare la credibilità delle istituzioni europee.