Ormai da quasi vent’anni, il tema dei nuovi abitanti è ricorrente nel dibattito sulle montagne italiane. Già quasi vent’anni fa, il giornalista e scrittore torinese Enrico Camanni si chiedeva, nel suo importante saggio La nuova vita delle Alpi (Bollati Boringhieri, 2002), se fosse più opportuno definire i «montanari» non per nascita, ma per «vocazione», affiancando allo ius soli dei «nativi che non hanno scelto di venire al mondo nel chiuso di una valle» una sorta di ius electionis, legato alla scelta di abitare consapevolmente in un territorio di montagna.

Da allora numerose ricerche sono state dedicate a indagare il fenomeno del nuovo popolamento montano, nelle sue diverse dimensioni: demografica, sociale, culturale, economica, politica e abitativa. Tra le più significative, per approfondimento e per impatto sul dibattito, vi sono quelle dell’associazione Dislivelli di Torino, che a partire dal 2010 ha esplorato le caratteristiche dei «montanari per scelta» di diversi territori dell’arco alpino, soprattutto occidentale, e il loro impatto sulle economie e sulle società locali (G. Dematteis, Montanari per sceltaIndizi di rinascita nella montagna piemontese, Franco Angeli, 2011; Nuovi montanari. Abitare le Alpi nel XXI secolo, a cura di F. Corrado, G. Dematteis e A. Di Gioia, Franco Angeli, 2014; M. Dematteis, A. Di Gioia e A. Membretti, Montanari per forza. Rifugiati e richiedenti asilo nella montagna italiana, Franco Angeli, 2018).

Parallelamente, anche le rappresentazioni della montagna nel dibattito pubblico si sono arricchite di una narrazione relativa ai nuovi montanari, spesso raccontati come soggetti desiderosi di sperimentare nelle terre alte stili di vita alternativi, lontani dall’alienazione urbana, come nel caso del protagonista del film Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti (2005) o del personaggio alter ego dello scrittore Paolo Cognetti nel romanzo Le otto montagne, vincitore del Premio Strega nel 2017.

In realtà, l’universo dei «nuovi montanari» è molto eterogeneo, di difficile classificazione, e racchiude traiettorie di vita, progetti economici e immaginari della montagna molto vari, da quelli dei giovani neorurali in cerca di lavori e contesti di vita in armonia con l’ambiente, a quelli dei nomadi digitali che cercano luoghi ameni per svolgere i propri lavori telematici, passando per le giovani famiglie in fuga dalla città, i pensionati, gli innovatori sociali (così come sono definiti in F. Barbera e T. Parisi, Innovatori sociali. La sindrome di Prometeo nell’Italia che cambia, Il Mulino, 2019), fino ai lavoratori annuali e stagionali delle filiere economiche di montagna, in particolare turistiche e agricole/zootecniche, spesso di origine straniera.

La forte variabilità del fenomeno è ovviamente anche geografica. I dati demografici relativi al periodo intercensuario tra il 2001 e il 2011 (ma il trend rimane analogo nei dati più recenti) raccontano di una crescita di popolazione in circa metà dei comuni montani italiani, con un dato di poco inferiore a quello della media nazionale (Rapporto montagne Italia 2015). Un’analisi appena più approfondita rivela però una forte differenziazione geografica, con la crescita di popolazione di alcuni territori montani (province di Trento e Bolzano, Valle d’Aosta assieme alle vallate più prossime alle aree metropolitane del Nord) e la costante contrazione demografica di molti comuni delle Alpi rurali e di vaste porzioni dell’Appennino, soprattutto centro-meridionale, dove non basta il massiccio afflusso di migranti a colmare i vuoti, materiali e immateriali, lasciati dall’esodo (Atlante dell’Appennino, I Quaderni di Symbola, 2018).

 

[L'articolo completo è pubblicato sul "Mulino" n. 6/20, pp. 977-983. Il fascicolo è acquistabile qui]