Tre sono gli effetti del Coronavirus sulle società che colpisce. In primo luogo l’aumento generalizzato dell’intervento dello Stato, l’espansione delle imposizioni in termini di regole della vita civile assieme al rafforzamento degli interventi sanitari. In secondo luogo il disvelarsi pubblico delle diseguaglianze di fronte all’impatto del virus: il lockdown e la contrazione dei movimenti ha reso molto più evidenti le vulnerabilità delle classi svantaggiate e dei paesi più poveri. In terzo luogo le conseguenze in termini economici, di disoccupazione e di impatto sulle finanze pubbliche degli Stati.

In tutti i Paesi occidentali è in corso una polemica tra chi è preoccupato per l’espansione del ruolo accentratore dello Stato e chi invece la auspica, anche per non sussidiare coloro che sono in difficoltà per il Covid. Non c’è dubbio che lo Stato ha un senso quando si occupa innanzi tutto dei più deboli, dal momento che i più ricchi possono in teoria far da sé. Distribuire cibo, garantire cure sanitarie a tutti e non lasciar crollare l’occupazione sono dunque le priorità del settore pubblico. Tuttavia non tutti gradiscono.

In tale contenzioso polemico e divisivo, prosperano populisti e sovranisti caratterizzati dal pensiero estremo e radicale. Costoro si nutrono della polemica affermando di volta in volta sia l’una o l’altra tesi a seconda della convenienza demagogica. Per tali motivi la polemica sul ruolo dello Stato e sulle misure da prendere davanti al Covid, anche se svolta tra Stati alleati della Ue o tra forze politiche democratiche di una nazione, in ogni caso favorisce gli estremisti: tale è la lezione del nostro tempo. Si tratta di varie forme di eversione latente o evidente: suprematisti, razzisti, anti-globalisti, anarco-insurrezionalisti, terroristi ecologici e via così fino al punto estremo dei jihadisti.

Nelle tensioni della pandemia e del post-pandemia costoro trovano sempre nuove fonti di ispirazione e un modo per rafforzarsi. Ogni crescita del malcontento popolare anti-governativo o anti-sistema li favorisce. Ogni lite tra virologi e scienziati li aiuta. Ogni contrasto tra Stati membri della Ue li fortifica. Ogni discussione tra sordi delle forze democratiche solletica le peggiori emozioni e li rafforza. Per sconfiggerli servirebbe calma e attenersi ai fatti: ma in questi tempi di social e di controversie a ripetizione questo non pare possibile.

La tattica degli estremisti consiste nel generalizzare tra la gente continui sentimenti di sospetto e trovare il modo di dare sempre la colpa ad altri. Non ha importanza se le accuse sono contro la Cina, l’Ue, gli Stati Uniti, la Cia, gli stranieri immigrati, le banche e il sistema finanziario o le élite: ogni accusa è buona per suscitere scetticismo e cinismo che provochino rabbia e rancore. Ci sarà poi qualcuno che saprà trasformare tali emozioni in violenza e indirizzarle manipolandole. Se questo è vero per la società occidentale, altrettanto si può dire per le altre società come quella arabo-islamica, quelle latino-americane, le asiatiche, africane ecc. Ognuno ha lo stile populista che si merita.

Come notiamo negli Stati Uniti ma non solo, è facile scatenare una violenza diffusa basata sui crimini di odio, sul razzismo e sulla fine delle convivenze. Com’è dimostrato dalla storia, dalla violenza di questo tipo al terrorismo vero e proprio la strada non è poi così lunga. La storia dei foreign fighters occidentali andati a combattere in Siria lo dimostra: è possibile anche per tranquilli e depressi ragazzi e ragazze occidentali (magari senza legami etnici o culturali particolari) essere reclutati per finire inghiottiti nel gorgo di ideologie violente, nichiliste e terroristiche. La vicenda della Siria non è la fine di un fenomeno ma solo una prova generale. Osservare ciò che accade ai movimenti radicali islamici è un modo per prevedere ciò che potrebbe accadere successivamente a livello globale.

Davanti al Coronavirus il jihadismo internazionale non ha reagito in modo univoco. Alcuni movimenti stanno approfittando del caos che si è creato per avvantaggiarsi sul terreno, com’è accaduto in Nigeria e attorno al lago Ciad ai Boko Haram, oppure nel Sahel ai vari jihad locali. Altri raggruppamenti vedono nel Covid la vedetta divina contro l’Occidente depravato e dissoluto, e contro i suoi alleati, come i rigoristi wahabiti maliani. Altri ancora cercano di adattarsi alla situazione mostrando le proprie capacità di intervento sociale e sanitario nei confronti della popolazione, come i talebani.

Il lockdown globale, con lo stop dei voli e dei trasporti marittimi, la chiusura delle frontiere e l’arresto delle comunicazioni in quasi tutto il mondo, ha reso complicato per il terrorismo internazionale mantenere in piedi le proprie reti e prendere iniziative nuove. Solo i gruppi impegnati in conflitti locali hanno potuto proseguire nelle loro operazioni e negli attentati, com’è avvenuto nel Sahara. Al contrario la regia globale delle varie filiere terroristiche ha dovuto ritirarsi in una posizione di attesa dovuta alla contrazione dei traffici. Difatti anche il terrorismo internazionale ha subito i contraccolpi della pandemia come la criminalità organizzata e tutte le catene illegali.

Ciò non significa che il terrorismo sia diventato inerme: la crisi attuale ha anche risvegliato in qualcuno l’idea di dotarsi di armi batteriologiche, notoriamente chiamate l’arma nucleare dei poveri. Inoltre le proteste (non solo occidentali) di quella parte della pubblica opinione che non crede nel virus e nella sua pericolosità offrono al jihadismo globale uno spunto interessante sia sulla fragilità intrinseca delle nostre società, sia come nuovo tema di propaganda. Fare leva cioè sul sentimento complottista e anti-establishment o anti-élite delle società occidentali è il modo utilizzato dai terroristi per trovare nuovi adepti o penetrare in certi ambienti.

Basta osservare l’evoluzione delle recenti manifestazioni anti-lockdown negli Stati Uniti, in Israele, Germania e in altri Stati europei per farsi un’idea di cosa può essere facilmente utilizzato contro lo stesso Occidente. Se a questi si aggiungono i no-vax e simili, il quadro del rischio che stiamo correndo è completo. Le organizzazioni criminali dei narcos in America Latina sono già avanzate su questa strada: stanno usando la generale sfiducia verso i governi per sostituirvisi e proporre una loro forma di governance criminale alternativa. Disponendo di molte risorse accumulate con i traffici illegali, tali organizzazioni criminali possono permettersi di spendere per dimostrare alla popolazione il loro “attaccamento” e farsi Stato alternativo. Allo stesso modo ma in maniera più sofisticata si comportano organizzazione estremiste come Hezbollah in Libano che, malgrado tutte le critiche ricevute in queste settimane, sta già operando non solo per il Covid ma anche per lenire le conseguenze dell’immane esplosione di agosto.

La lezione che si può trarre da tutto questo è che gli Stati democratici e le forze politiche che li sostengono non possono permettersi di lasciarsi andare a polemiche violente tra di loro, ma devono trovare un’urgente convergenza in termini sia di sollievo della popolazione sia di controllo degli estremisti. Solo chi si renderà più utile in maniera calma ed efficace potrà ottenere l’ascolto fiducioso di popolazioni sottoposte a troppe insidie demagogiche e bombardate da una miriade di fake news ogni giorno.