In questi mesi strani e complicati, sia durante il confinamento a casa sia successivamente, ci siamo un poco alla volta abituati a seguire dirette televisive o a prendere parte a riunioni in videoconferenza (ora, per tutti, “call”) durante le quali i partecipanti siedono al loro tavolo di lavoro, spesso mettendo in mostra alle loro spalle una libreria. Sino ad ora, la curiosità dell’osservare gli scaffali altrui si era limitata, più o meno, agli studi dei direttori di giornali. Spiccavano così scaffalature tristanzuole, con l’intera Treccani (dall’aria intonsa) o al più i volumi delle collane edite dagli stessi quotidiani. Poco altro. L’emergenza sanitaria ci ha invece portati negli studi e nei salotti di colleghi e personaggi, noti e meno noti, che spesso faticavano a non mostrarsi compiaciuti di esibire metri lineari di cultura, dove l’accostamento tra letteratura e saggistica, non senza qualche copia in lingua straniera, dava bella mostra della sapienza del padrone di casa.

Il tema della collocazione dei libri e della sistemazione di una biblioteca (per chi può permettersi, in base al numero e alla qualità dei volumi posseduti di parlare di biblioteca, s’intende) è vecchio, ma sempre di moda. Alle sbirciate in video si aggiungono gli sguardi, spesso libidinosi, alle foto messe sapientemente in circolazione sui vari profili social di scaffalature ben curate. Da molto tempo si registra una sorta di feticismo del libro – si potrebbe citare Anatole France almeno, tra i tanti autori bibliofili e bibliomaniaci – che si accompagna a un vero e proprio esibizionismo del posseduto, oggi amplificato dalle possibilità che la tecnologia ci mette a disposizione per far morire d’invidia i guardoni. Accade per diverse categorie merceologiche e attività (basti pensare alla continua ostentazione del viaggio e dei suoi annessi e connessi: cibo, bellezze varie e molto altro). Tuttavia, l’ostentazione del libro (letto o non letto importa relativamente poco) fa storia a sé. Sottintende un’esclusività particolare: in fondo, la speranza è sempre la stessa. Che qualcuno, commentando una foto, ci chieda “ma gli hai letti tutti?”, come già fece quel malcapitato visitatore della biblioteca di Umberto Eco che si sentì rispondere “no, quelli che ho già letto li tengo all’università, questi sono quelli che devo leggere entro la settimana prossima”.

Ma, al di là dell’ostentazione, come conviene disporli, i nostri libri, affinché li si possa poi rintracciare con poca difficoltà, magari suggerendoci poi quei libri nuove letture? E come conviene organizzare una libreria, se la fortuna ci ha dato in dono il mestiere di libraio e, quindi, tocca pure venderli per campare, i libri?

La questione della collocazione dei propri libri sugli scaffali di casa è talmente dibattuta da essere diventata, francamente, a volte un po’ noiosa. Chi adotta un criterio cronologico e tiene tutto assieme. Chi prova a distinguere in base alla lingua. Chi, ancora, si lancia in azzardati incroci tra narrativa e saggistica, creando lì per lì criteri di comodo. Tutto si infrange spesso con i problemi fisici, di spazio e di ingombri. Tenere il Meridiano di Roberto Longhi vicino ai saggi su Morandi va bene, ma come fare se di fianco si vogliono sistemare anche i volumi fuori formato dei cataloghi delle mostre sul pittore bolognese? Per non dire di chi adotta criteri esclusivamente estetici: rispettabilissimi, per carità. Ma tali da rendere praticamente inutilizzabile il recupero del libro che serve in un certo momento al padrone di casa, sempre che questi non si sia messo a catalogarli uno ad uno. Orami molti anni fa, da giovane libraio accolsi una colta signora bolognese, a me nota per altre vie, che aveva ricevuto in regalo un mobile libreria di un certo pregio e a me si rivolse chiedendomi 1,70 metri lineari di libri, non più alti di 22 centimetri e, soprattutto, “belli e rilegati”.

Accade così, in preda al criterio estetico, che non ci si accontenti di mettere uno dietro l’altro i volumi di una stessa collana (a cominciare proprio dalla Biblioteca Adelphi, grande e piccola). Ma che ci si lasci prendere la mano sistemandoli per gradazione di colore (non sto inventando: ho veduto in prima persona un’intera stanza sistemata in questo modo).

Ma quali sono dunque le indicazioni che ci vengono da un uomo di libri come Calasso sul tema (tema, ci avverte da subito l’autore, “altamente metafisico)? L’accostamento dei titoli di una stessa collana risulta obbligatorio allorquando si tratti di collane di per sé tematiche: i volumi della Loeb Classical Library o della Lorenzo Valla, per intenderci. Per il resto ogni amante dei libri, e soprattutto ogni lettore, ha da mettere in atto i propri accoppiamenti giudiziosi, che tali si possono considerare soprattutto nel momento in cui la lettura di poche righe da un libro porta con sé il desiderio di aprirne a caso un altro.

Il tema dell’ordinamento di una biblioteca (il come) ne contiene con sé un altro, al tempo stesso precedente e successivo: il cosa. La scelta dei libri da tenere nella mia biblioteca precede ovviamente le preferenze per la loro sistemazione: se non li posseggo non mi si pone il problema di come metterli. Ma al tempo stesso lo supera: una volta che ho scelto cosa acquistare o tenere, in caso di volumi che mi arrivano in dono, per recensione o altro, sono libero di non sistemarli anche per lungo tempo, in attesa di decidere di leggerli. Ecco dunque che Calasso aiuta i mangiatori di libri (si veda, anzi si legga, Il mangialibri, di Klaas Huizing, tradotto da Neri Pozza nel 1996), che non sanno resistere alla tentazione di prenderne anche sapendo di non poterli leggere nel breve. “essenziale è comprare molti libri che non si leggono subito”. Un’affermazione che rende felici editori e librai, oltretutto.

Anche il saggio finale (“Come ordinare una libreria”, pronunciato nel 2019 alla Scuola per Librai di Venezia per il consueto incontro di inizio anno) riprende almeno in parte lo spirito già esposto a proposito di una biblioteca. Con l’aggravante, per così dire, per chi deve dare consigli, che qui bisogna tener conto che una libreria per restare aperta deve fare profitti, belli o brutti che siano i libri che espone, piacciano o meno al libraio i libri che presenta sui tavoli e sugli scaffali.

Sul tema, il punto centrale è uno, mi sembra, come ben sanno i librai che hanno cercato negli ultimi dieci anni almeno di reggere all’uragano Amazon: l’assortimento. Nessuna catena di librerie potrà mai competere con gli sterminati magazzini di Amazon e con la sua capacità di fornire il prodotto in tempi minimi. Tanto che oggi sono proprio le imprese maggiori a rischiare di più per la loro sopravvivenza, perché il concetto stesso di assortimento è andato fuori concorrenza: per quanto grandi, le loro librerie saranno sempre e comunque mai sufficientemente grandi.

Su questi presupposti, Calasso si chiede come tutto ciò si traduca nelle scelte concrete che oggi un libraio deve compiere per essere minimamente attrattivo (vale a dire, per avere quel minimo di vendite che gli consenta di godere del suo lavoro senza andare in bancarotta). Ecco dunque che si pone la questione della “qualità” di una libreria, che naturalmente non è una e una sola, ma che deve crearsi di situazione in situazione per dare “identità” (parola che Calasso in verità non usa, e che forse andrebbe anche qui evitata: ma per intenderci). Una libreria di qualità, secondo l’idea del libraio e secondo i risultati che essa ottiene sui potenziali clienti, è una libreria che può reggere. La scelta dei titoli è essenziale: senza pitoccherie, però. Se i tuoi clienti cercano bestseller è bene averli, almeno i principali: non serve però dedicar loro troppo spazio. Del tutto da evitare il pericolo del sovraffollamento con libri che non interessano né il libraio né, presumibilmente, i suoi clienti.

Basterà tutto questo? La risposta è lapidaria: “Se questo non basta, vorrà dire che il libro in sé non basta più. E, se il libro non basta più, vorrà dire che il mondo sta voltando un’altra brutta pagina della sua storia”. Con buona pace di noi mangialibri e delle nostre ossessioni classificatorie.