«Fra tutte le sciagure subite fino ad oggi dall’umanità le grandi epidemie hanno lasciato di sé un ricordo singolarmente vivo». Questa affermazione introduce un breve, ma denso, paragrafo di Massa e potere in cui Elias Canetti commenta alcuni memorabili brani di Tucidide che descrivono il disordine (in greco «anomia») provocato dell’epidemia che ha colpito Atene durante la guerra del Peloponneso (430 a.C.). Gli storici della medicina discutono da decenni di quale sia stato l’agente patogeno, probabilmente proveniente dall’Africa, che condusse alla morte un terzo degli abitanti della città attica. Tra le vittime della pestilenza ci fu anche la politica di Pericle, poiché fu ai suoi errori che gli ateniesi imputarono la colpa del flagello che li aveva colpiti. Poco dopo aver perso il potere, lo stesso Pericle si ammalò, e dopo qualche tempo morì. Non c’è dubbio, quindi, che l’epidemia fu uno dei fattori che contribuirono a pregiudicare le sorti politiche di Atene.

Qualunque sia stata la causa dell’epidemia descritta da Tucidide, sono gli effetti cumulativi che essa ha generato ad attirare l’attenzione di Canetti: «dapprima solo pochi ne sono colpiti, poi i casi si moltiplicano; dappertutto si vedono dei morti, ed ecco che i morti sono più numerosi dei vivi». Lo scrittore osserva che, a differenza di un terremoto, un evento geologico il cui impatto si palesa immediatamente, un’epidemia si sviluppa, giorno dopo giorno, sotto gli occhi degli esseri umani che ne sono testimoni, che assistono, loro malgrado, al «massiccio progresso della morte». Ben presto, continua Canetti, si avverte che il pericolo riguarda tutti, e che i contagiati si confondono in una massa indistinta, accomunata da uno stesso destino. L’assenza di cure efficaci per il morbo lascia ben poche speranze di sopravvivenza, e il ritmo con cui si susseguono le morti conduce, nel volgere di qualche settimana, all’accumulo dei cadaveri, che diviene sempre più difficile seppellire nel rispetto della tradizione.

L’attenzione che Tucidide presta alla questione delle sepolture non è casuale. Le norme che governano l’estremo saluto di un congiunto hanno un’importanza centrale nella cultura greca (di cui ci sono testimonianze sia nei poemi Omerici sia nella tragedia). Non rispettarle è un segnale del fatto che la malattia non si limita semplicemente a colpire i corpi, causando spesso la morte, ma ha anche un effetto per la collettività. A erodersi sono i fondamenti stessi del vivere in comune. C’è un tratto del morbo che opera come un acido che corrode con straordinaria rapidità il legame sociale, dissolvendo la comunità:

"il contagio, che nell’epidemia ha tanta importanza, fa sì che gli uomini si isolino gli uni dagli altri. Il miglior modo per difendersi consiste nel non avvicinare alcuno, poiché chiunque potrebbe già portare con sé il contagio. Alcuni fuggono dalla città e si disperdono nelle loro proprietà in campagna. Altri si chiudono in casa e non lasciano entrare nessuno. Ciascuno schiva chiunque. Tenerli a distanza è l’ultima speranza. La prospettiva di vivere, la vita stessa, si esprimono per così dire nello spazio che separa dagli ammalati. Gli appestati formano gradualmente una massa morta, i sani stanno alla larga da chiunque, persino dai loro più stretti congiunti, dai genitori, mariti o mogli, e figli. È degno di nota come la speranza di sopravvivere isoli ciascuno uomo: dinanzi a lui sta la massa di tutte le vittime".

Canetti è uno scrittore peculiare. La maggior parte dei suoi lavori non appartiene al genere letterario del romanzo: si tratta di saggi, raccolte di aforismi, volumi autobiografici. Pur non essendo un filosofo nel senso accademico del termine, egli è senza dubbio un pensatore, e Massa e potere è la testimonianza più significativa e articolata della sua riflessione su uno dei temi che gli sta a cuore: la natura della società e il rapporto che essa ha con la vita interiore degli esseri umani. La paura del contagio è un esempio, tra gli altri, di come gli stati mentali modificano il nostro atteggiamento nei confronti del prossimo. Pulsioni che in alcune circostanze legano, e in altre separano.

 

[L'articolo completo è pubblicato sul "Mulino" n. 3/20, pp. 367-384. Il fascicolo è acquistabile qui]