Finita l’emergenza, la modalità di lavoro che ci ha consentito di sopravvivere durante il lockdown è diventata oggetto di un acceso dibattito. Il potenziale di trasformazione dello smart working sull’organizzazione del lavoro, sia pubblico sia privato, e sulla stessa organizzazione sociale delle città, è apparso più evidente che mai. E come ogni processo di cambiamento gli esiti possono essere ambivalenti. Nel dibattito italiano, oltre ai tanti osservatori che ne hanno enumerato i meriti, non solo nella fase emergenziale, vi sono state importanti voci che hanno avvertito di possibili rischi: chi rispetto a una disparità di trattamento tra lavoratori pubblici e privati, come Pietro Ichino, chi, come il sindaco di Milano Giuseppe Sala, rispetto al rischio di una sofferenza commerciale nelle aree urbane caratterizzate da forte densità di uffici.

Le diverse considerazioni evidenziano come un ricorso frequente e non occasionale alle modalità di lavoro a distanza (non necessariamente l’home working che abbiamo conosciuto durante la pandemia) abbia un impatto sia dentro sia fuori i luoghi di lavoro, in un doppio movimento che non sembra destinato a fermarsi con la fine della crisi sanitaria. Vale quindi la pena misurarcisi, al fine di mettere in campo politiche pubbliche e strategie aziendali in grado di esaltare gli aspetti di maggior vantaggio, a livello individuale e collettivo, che a chi scrive appaiono prevalenti, e limitarne quelli negativi.

Alcune considerazioni possono derivare in base ai primi risultati di una survey condotta dal Comune di Milano sui propri dipendenti che hanno fatto esperienza del Lavoro agile straordinario (Las), così come normato dal Dipartimento della Funzione pubblica e tradotto in prassi aziendali. All’indagine – proposta a 6.828 lavoratori agili nel periodo dal 17 al 30 aprile in forma volontaria e anonima, tramite accesso alla intranet aziendale – ha risposto quasi l’85% dei lavoratori coinvolti, pari a 5.795 questionari restituiti. L’indagine ha evidenziato una buona soddisfazione da parte dei rispondenti. Sono emerse delle differenze in funzione delle caratteristiche della popolazione, pur restando in un ambito di soddisfazione estremamente positiva. Le differenze del resto sono anche rapportate alle diverse esperienze e alle diverse attività affidate alle persone e che, in maniera diversa, possono essere utilmente lavorate da remoto.

Il Comune di Milano si è avvantaggiato dall’esperienza maturata sin dal 2014, quando si è consentito ai primi dipendenti, su base volontaria, l’accesso a questa modalità di prestazione lavorativa, normata a livello italiano soltanto nel 2017. Prima del febbraio 2020, i dipendenti che avevano accesso allo smart working in modalità ordinaria (3 o 4 giornate al mese) erano poco più di 300. Nel mese di aprile 2020 si sono contati più di 7.000 lavoratori da remoto su oltre 14.000 totali. Tra chi ha risposto alla survey: l’85% non aveva mai svolto prima il lavoro agile; il 65% è donna, dato sostanzialmente in linea con la popolazione comunale attualmente in servizio (60% f e 40% m); il 41% svolge un lavoro di tipo amministrativo/staff/gestionale; il 13% svolge attività di controllo del territorio/protezione civile, tipico della Polizia locale.

Il grado di soddisfazione espresso è decisamente alto: in una scala da 0 a 10, la media risulta pari a 7,7 e per nessuna Direzione è inferiore a 6. Mentre la soddisfazione media per Direzione varia da 6,8 (Sicurezza urbana) a 8,8 (Segreteria generale).

Va detto che una significativa differenza nel grado di soddisfazione è correlata alle classi di età: i più giovani apprezzano maggiormente il lavoro agile e la possibilità di cimentarsi in processi digitali che diluiscono l’impatto vincolante dello spazio e del tempo.

Anche analizzando per ruolo, la soddisfazione media è decisamente alta e sale in relazione al ruolo ricoperto. Per il 66,8% dei rispondenti la produttività individuale e di gruppo percepita è uguale a quella assicurata in presenza e il 30% di questi registra un incremento di produttività nelle fasi di lavoro, quasi sempre più rapide e meno complesse.

Il Lavoro agile straordinario ha decisamente favorito/agevolato l’acquisizione di nuove competenze: il 72,5% degli intervistati segnala che l’incremento è avvenuto in maniera significativa. Tra le competenze che i lavoratori segnalano come maggiormente sviluppate risultano quelle informatiche/tecnologiche (91%), organizzative (85%) e di adattamento (91%); minori, anche se di grande rilevanza e impatto, rimangono le conoscenze e le competenze tecniche proprie della mansione ricoperta (63%).

Tra i diversi item proposti dall’indagine per far emergere i punti di forza dell’esperienza, la possibilità di proteggersi dal pericolo di contagio raggiunge le percentuali maggiori (87%), ma rilevante è stata anche la possibilità di “continuare a sentirsi parte attiva nelle attività dell’Ente” (80,98%), testimone della voglia e necessità di appartenenza alla propria professione e all’Ente, come rilevante l’apprezzamento della sperimentazione di una nuova modalità di lavoro (80,10%) ancora poco diffusa prima dell’emergenza.

Di rilievo la difficoltà nel convertire i contatti in presenza con contatti virtuali con i propri team di lavoro e i colleghi (per il 44,33%), l’utilizzo continuativo di strumenti tecnologici (37,36%) oltre che il contesto generale e il clima di incertezza dovuto all’emergenza Covid (36,93%). Rilevante la segnalazione di un accumulo di stress derivante dalla mancanza di una netta distinzione fra tempo di lavoro e tempo di vita, che apre il tema del diritto alla disconnessione soprattutto nella forma intensiva dell’home working dispiegata durante il periodo del lockdown.

In generale sui processi lavorativi i riscontri sono largamente positivi: il lavoro agile viene visto come mezzo per innovare i processi di lavoro esistenti per l’87% dei rispondenti che sottolinea anche la grande utilità derivante dalla diffusione e utilizzo dei nuovi strumenti di comunicazione (87%) – piattaforme di condivisione, canali di attivazione call ecc.

L’ultima parte della survey prevedeva la possibilità di raccogliere osservazioni e suggerimenti dai partecipanti. Al fine di decodificare le osservazioni riportate è stata predisposta una griglia di lettura e analisi dei contributi ricevuti. La griglia indica come auspici: il Lavoro agile come opportunità oltre l’emergenza Covid-19, come occasione di innovazione organizzativa, di crescita e sviluppo professionale, di benessere e conciliazione. E come ambiti di miglioramento: la definizione di policy sulla strumentazione informatica, sull’individuazione dei processi lavorabili a distanza, sui sistemi di programmazione e monitoraggio dei risultati, su alcuni istituti contrattuali.

In sintesi emerge che una persona su tre, fra coloro che hanno voluto esprimere osservazioni libere, desidererebbe continuare a lavorare in modalità agile anche dopo l’emergenza. Molti sono, per contro, coloro che ribadiscono la criticità legata alla difficoltà di disporre di device adeguati e di collegamenti di Rete efficienti.

Interessanti e meritevoli di approfondimento alcune osservazioni che, sebbene poco significative dal punto di vista statistico, mettono in luce sfumature di significato dell’esperienza che il codice narrativo esprime con efficacia: il lavoro agile come occasione di innovare l’offerta di servizi alla cittadinanza, ma anche la scoperta di come, nel lavoro a distanza, attraverso la semplificazione dei processi, vengano meno inutili orpelli operativi o di come, in maniera controintuitiva, anche le relazioni nel gruppo possano liberarsi di alcune dinamiche disfunzionali.

L’alto livello di gradimento dell’esperienza indica, da una parte, il desiderio di non tornare indietro, dall’altra il potenziale trasformativo su routine e processi lavorativi che, specie nel settore pubblico, sembravano immutabili. Questo potenziale dovrà incrociare non solo decisori politici e manager pubblici in grado di sfruttarlo in modo vantaggioso, ma anche considerazioni di natura extra-organizzativa che riguardano l’impatto economico, ambientale, sociale e urbanistico di un ricorso significativo allo smart working nelle nostre città.

Sul primo aspetto, quello relativo ai processi organizzativi fuori e dentro la pubblica amministrazione, gli schieramenti tra i supporter e i detrattori del lavoro agile sono più o meno gli stessi del pre-Covid. Chi pensava che i risultati di un’organizzazione pubblica e privata si misurino prevalentemente in orari di lavoro, presenza in ufficio e controlli, vive con disagio la radicalità del cambiamento in atto. Chi invece ha sempre enfatizzato il valore di organizzazioni basate sulla fiducia, sulla condivisione di obiettivi e risultati, su performance che migliorano la qualità del lavoro e della vita, spera che questo sia l’inizio di una rivoluzione.

Quanti agli impatti sull'organizzazione delle città, non sono meno rilevanti, tanto da spingere alcuni amministratori, come il sindaco Sala, a esprimere preoccupazione sugli impatti complessivi di interi buildings aziendali lasciati vuoti. Le evidenze empiriche a disposizione non sono ancora sufficientemente consolidate e riguardano una situazione emergenziale che, in ogni caso, non rappresenta la “normalità” anche dello smart working più spinto. Precedenti indagini condotte a Milano durante le “Giornate” e le “Settimane” agili promosse dal Comune insieme a diversi partner aziendali hanno stimato in circa 2 ore per lavoratore il tempo risparmiato negli spostamenti e in 32 tonnellate il risparmio di anidride carbonica emessa in atmosfera. Più complesso da calcolare l’impatto sui minori consumi presso bar e ristoranti, che però potrebbero essere in parte compensati da diversi consumi in prossimità dell’abitazione o del luogo dove si trascorre la giornata lavorativa. Ancora presto per stimare gli impatti sui valori immobiliari e sugli assetti urbanistici che potrebbero derivare da scelte aziendali che vadano a ridurre i metri quadri occupati nelle città.

Quello che appare certo è che il processo che ha visto un’accelerazione così importante durante l’emergenza difficilmente regredirà a una fase pre-Covid, soprattutto in ragione della alta soddisfazione mostrata da lavoratori e aziende, sia nel settore privato sia nel settore pubblico. Appare quindi conveniente accompagnare questo doppio movimento, dentro e fuori i luoghi di lavoro, con politiche e interventi che ne esaltino gli aspetti positivi, evidenti in termini di produttività e benefici ambientali, mitigandone quelli negativi sul cambiamento dei consumi e la configurazione urbana.