«In principio fu Napoleone»: così recita l’incipit della monumentale storia della Germania contemporanea di Thomas Nipperdey, uno dei principali storici del Novecento, che con questo paradosso descrive la volontà degli Stati tedeschi di costruire un moderno assetto proprio sulla base del modello francese, spinti da sentimenti ambivalenti di revanscismo ed emulazione, di tensione e attrazione.

In un momento in cui – dopo la proposta congiunta sul Recovery Fund – si torna con attenzione a commentare il rinnovato asse tra Francia e Germania, cogliere la profondità delle contaminazioni storiche, economiche e culturali tra le due sponde del Reno torna utile nel leggere gli eventi europei attuali.

Il peso del cosiddetto motore franco-tedesco, la cui natura viene spesso limitata attraverso una narrazione superficiale, quasi fosse una sorta di contropotere occulto nella dinamica istituzionale dell’Ue, meriterebbe infatti una valutazione appropriata, soprattutto in considerazione dell’interscambio profondo tra i due Paesi, che si esprime in misura del tutto unica rispetto al resto del continente. Non si comprenderebbe pertanto la portata e l’origine della proposta franco-tedesca sul Fondo per la Ripresa se non si tenesse conto dell’evoluzione recente delle relazioni tra i due Paesi, in particolare negli ultimi tre anni, a compimento di una parabola altalenante che risale all’immediato Dopoguerra. Già da quel momento, infatti, è apparso evidente che il tratto tipico di questo nuovo binomio diplomatico si giocasse – più ancora che sull’approfondimento dei rapporti bilaterali – sulla proiezione comune in Europa e sulla volontà di costruire un inedito percorso nelle relazioni internazionali.

La svolta simbolica avviene in modo palese con la Dichiarazione Schuman, nel 1950, che è costitutivamente un testo franco-tedesco vista la sua portata materiale – produzione comune di carbone e acciaio – e le conseguenze politiche del nuovo modello di integrazione. In modo ancora più solenne, ma molto meno duraturo in quanto a reale impatto politico e a successo diplomatico, un ulteriore scatto nell’approfondimento delle relazioni arriva nel 1963 con il Trattato dell’Eliseo. La natura di questo accordo tuttavia tende a privilegiare la dimensione puramente bilaterale senza avere – non a caso, viste le posizioni di de Gaulle – un’ambizione di pari livello in chiave comunitaria.

Eppure, il solco del Trattato dell’Eliseo rimane profondo nei decenni a seguire, in virtù di molte implicazioni pratiche delle nuove relazioni – gemellaggi, investimenti, programmi comuni culturali ed educativi – che lasceranno un segno molto importante.

Un’analisi compiuta della comune azione tra le due potenze in Europa è tuttavia più obiettiva storicamente solo a partire dal momento della graduale ripresa di una piena sovranità diplomatica da parte della Germania, dagli anni Ottanta e poi in modo formale con la riunificazione. Questa è certamente la fase più prolifica delle relazioni franco-tedesche, quella che plasma la creazione dell’Unione europea come la conosciamo oggi, accompagnando grandi gesti simbolici, come la stretta di mano tra Kohl e Mitterrand a Verdun, a decisioni pragmatiche cruciali sull’area euro, sull’allargamento, sul nuovo funzionamento istituzionale.

Nella fase più recente della storia dell’integrazione comunitaria, a partire dalla firma del Trattato di Lisbona nel 2007, il cammino comune europeo dei due Paesi è parso sempre più incerto. Ciò può essere attribuito a più fattori, tra cui il mutamento nell’afflato comune delle proprie leadership, la maggiore complessità istituzionale in una Ue a 28, un quadro internazionale molto più ingarbugliato, nonché l’impatto della crisi economico-finanziaria sui già precari meccanismi decisionali europei. Proprio in quest’ultimo contesto il confronto franco-tedesco ha avuto negli ultimi anni scambi di portata significativa, spesso anche contraddistinti da una profonda divergenza.

Dal lato tedesco la stabilità della presenza della cancelliera Merkel può aver garantito una certa continuità nel posizionamento rispetto al triangolo Berlino-Bruxelles-Parigi – ma è un’immagine solo parzialmente appropriata vista la diversità delle maggioranze a suo sostegno e visto il mutamento interno all’opinione pubblica tedesca nell’ultimo decennio, come dimostra la crisi dei rifugiati. Dal lato francese la maggiore volatilità politica, con la successione Sarkozy-Hollande-Macron ha certamente comportato una minore chiarezza sull’orientamento in merito al rilancio del percorso in Europa.

La lunga «policrisi» europea dell’ultimo decennio è stata infatti accentuata anche dall’assenza di una visione comune dei due Paesi, stretti tra l'incapacità della Germania di svolgere una più forte funzione di leadership politica e una situazione di stallo – se non di vero declino – del ruolo francese.

Anche in virtù di questa condizione l’elezione di Macron – portatore di proposte ambiziose connotate anche da una simbologia pro-europea di grande effetto comunicativo – ha suscitato aspettative per un netto rilancio del motore franco-tedesco e con sé di tutto il cammino verso l’integrazione Ue, segnatamente della zona euro.

In realtà, nonostante la visione sulle riforme necessarie in Europa fosse enunciata in maniera molto netta dal presidente francese nel suo discorso alla Sorbona del settembre 2017 e fosse poi reiterata al momento del ricevimento del Premio Carlo Magno (maggio 2018), le risposte di Berlino hanno tardato molto a venire. E lo stesso anche quando Francia e Germania – come nella dichiarazione congiunta di Meseberg nel giugno 2018 – hanno provato a ricostruire una retorica per un impegno comune e per tracciare una bozza di rilancio dell’integrazione, cui non ha fatto seguito un concreto riscontro all’interno del Consiglio europeo.

Nella fase compresa tra l’avvio della presidenza Macron e le elezioni europee della primavera 2019, un periodo appunto di più modeste realizzazioni comuni sul terreno europeo, le relazioni franco-tedesche hanno visto però anche l’approfondimento di meccanismi bilaterali molto avanzati, in grado di cementare il sodalizio politico tra i due partner.

Questo è avvenuto attraverso un progressivo ampliamento delle aree strategiche di cooperazione, processo culminato con la scelta di firmare in modo solenne un nuovo trattato franco-tedesco. Nel nuovo accordo, stipulato ad Aquisgrana a gennaio 2019, il principale obiettivo è enunciato fin da subito essere quello di «promuovere un'Unione europea più sovrana e più efficace». Il trattato arriva a prefigurare forme inedite di coordinamento e consultazione tra Francia e Germania su tutti nodi politici più essenziali dell’agenda europea, perfino in merito alla trasposizione interna del diritto comunitario e alla creazione di scambi diplomatici permanenti.

A permettere un contesto favorevole verso una comune azione di riforme in Europa gioca anche, in modo plastico, il calendario delle presidenze di turno dell'Unione che, nella fase centrale della legislatura europea, vedono proprio la Germania (secondo semestre 2020) e la Francia (primo semestre 2022) assumere un ruolo cruciale.

Una prova delle nuove ambizioni politiche comuni tra i due Paesi, d’altronde, si è percepita con molta chiarezza al momento delle nomine delle figure apicali della Ue subito dopo le elezioni europee: il fatto che la proposta da king-maker sul nome della tedesca Ursula von der Leyen arrivasse proprio dal presidente francese – non senza per questo trascurare gli aspetti tattici del momento né lo scambio politico sulla nomina di Christine Lagarde alla Bce – è un tratto essenziale per cogliere un forte segno di ravvicinamento tra Francia e Germania nell’affrontare i grandi nodi comuni in Europa.

È significativo che l’entrata in vigore formale del nuovo Trattato franco-tedesco sia avvenuta alla vigilia della crisi del Covid-19. Il Coronavirus è stato infatti uno stress-test importante anche per sondare la tenuta delle relazioni franco-tedesche. Innanzitutto sul piano bilaterale, per l’impressione di una certa diversità di approccio nel combattere la pandemia e per il riemergere di inedite questioni transfrontaliere, a cominciare dalla parziale chiusura del confine renano nei giorni più duri della crisi sanitaria, cui è seguita però rapidamente la disponibilità tedesca ad accogliere un alto numero di malati francesi.

La risposta alle conseguenze politiche ed economiche della crisi in Europa è stato il vero banco di prova per le relazioni tra Berlino e Parigi. Già dal 2 aprile, in un momento ancora di esitazione tra le cancellerie europee, i ministri delle Finanze Lemaire (germanofono e germanofilo) e Scholz compivano un primo passo avanzando alcune proposte poi riprese nel successivo accordo dell’eurogruppo: la creazione di un Mes più leggero per i Paesi in maggiore difficoltà, un nuovo di fondo garanzia della Bei, il lancio di un programma («Sure») contro la disoccupazione.

Parallelamente, come è noto, i due Paesi prendevano però strade divergenti in merito alla proposta di introdurre meccanismi innovativi di solidarietà e mutualizzazione del debito, con la Francia fautrice di una esplicita richiesta in tal senso con Italia, Spagna e altri 6 Stati membri e la Germania, viceversa, ancora ferma nella tipica posizione di ortodossia monetaria.

Gli eventi degli ultimi giorni portano tuttavia a un’accelerazione che rilancia l’intesa franco-tedesca al centro dello scenario politico e istituzionale europeo.

La profondità delle conseguenze della crisi, infatti, rende evidente che l’argomento del moral hazard del monetarismo più rigido non può essere praticato in questa occasione. Anche come reazione al pronunciamento della Corte di Karlsruhe, che fondamentalmente è interpretata dal lato tedesco come un richiamo ad assumere decisioni politiche senza più scaricare le responsabilità sulla Bce, arriva finalmente la risposta che Macron aspettava fin dai tempi del proprio discorso alla Sorbona: un nuovo e più forte uso della politica fiscale come premessa per una sovranità europea.

Alla luce degli eventi delle ultime settimane e della progressiva evoluzione nelle relazioni bilaterali dal 2017 ad oggi, è quindi possibile analizzare il nuovo momento delle relazioni franco-tedesche come un aspetto sempre più costitutivo dell’equilibrio interno dell’Ue. Questo elemento è colto in misura forse ancora troppo poco approfondita da chi al contrario – e nel nostro Paese sono in molti – ritiene sia ancora utile e possibile costruire un fronte da contrapporre, fondato magari su un’illusoria dimensione mediterranea.

È, questa, una prospettiva fallace non solo perché non permette di cogliere a pieno i benefici e la complementarità che un Paese come l’Italia può ottenere da tale equilibrio. Lo è ancor più perché, ormai, ogni tentativo di aprire nuovi percorsi verso l’integrazione politica europea ha ragione di esistere, appunto, solo se in sinergia con la dimensione comune del partenariato franco-tedesco.