L’emergenza epidemiologica ha mostrato le debolezze dell’Italia. In diversi ambiti: istituzionale, con le difficoltà di coordinamento tra governo centrale, Regioni e enti locali; economico e finanziario, con il peso del debito pubblico, la mancata razionalizzazione della spesa sociale e del sistema fiscale; sanitario, con una certa mancanza di coordinamento e di mezzi. E anche per quanto riguarda la scuola. La chiusura delle attività didattiche in presenza è iniziata il 24 e 25 febbraio per alcune regioni del Nord (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia-Romagna) e il 5 marzo per il resto d’Italia. Subito è stata avviata la didattica a distanza (Dad), con mille difficoltà. Vediamo le fragilità che ha rivelato questa situazione nel sistema scolastico italiano. In primo luogo, quelle infrastrutturali. La rete Internet e la banda larga non raggiungono o raggiungono male diverse aree del Paese. Molte famiglie fanno fatica a seguire la didattica a distanza perché hanno gravi problemi di connessione. Paghiamo così le incertezze su questo fronte della politica economica. Nella scuola, il Pnsd (Piano nazionale scuola digitale) avviato nel 2015 ha dato alcuni risultati, ma meno di quanto previsto: molti corsi di formazione per i docenti sono rimasti solo sulla carta; la dotazione informatica delle scuole è migliorata, ma spesso queste sono rimaste indietro nella acquisizione delle piattaforme didattiche che si sono rivelate preziose in questi giorni; e soprattutto la diffusione delle competenze informatiche tra i docenti è stata molto lenta. Sono poi emerse le fragilità organizzative. La didattica a distanza è partita in una sorta di vuoto normativo e contrattuale. L’ordinamento scolastico italiano non la prevede in alcuna sua parte, tranne brevi acenni per i casi molto circoscritti della scuola a domicilio e in ospedale. Non ci sono quindi norme che ne sanciscano l’obbligatorietà per gli studenti, che la regolino didatticamente, che diano indicazioni per la valutazione. Questa lacuna nell’ordinamento vale anche per i docenti: non essendo prevista, la Dad non è compresa tra gli obblighi contrattuali. Questo ha creato all’inizio una situazione contraddittoria e in parte conflittuale: fin dai primi decreti dettati dell’emergenza è stato imposto l’obbligo ai dirigenti scolastici di assicurare la Dad, per garantire il diritto all’istruzione; allo stesso tempo, tale obbligo non era previsto dalle norme per i docenti, né lo è contrattualmente. Alcuni sindacati hanno sottolineato questo punto, richiamandosi solo al senso di responsabilità dei singoli. Questo ha creato una certa delegittimazione della Dad in una parte del corpo docente. Via via le attività si sono stabilizzate e le posizioni ostili si sono ridotte. C’è stato un momento grave di attrito quando i sindacati hanno chiesto di revocare una nota del Miur che dava indicazioni sulla Dad, in quanto sarebbe intervenuta su materie di competenza sindacale. Ora le cose sono più chiare, perché il DL 22/2020 l’ha resa obbligatoria per i docenti. Ma queste incertezze mostrano l’impreparazione della scuola italiana sul piano normativo e contrattuale.

Un altro aspetto problematico riguarda l’autonomia didattica, dei docenti e delle scuole. Il sistema italiano, fondato sull’autonomia, ha molti vantaggi in termini di flessibilità e adattamento al contesto. Tuttavia, nell’emergenza se ne sono toccati anche alcuni limiti. L’organizzazione della Dad è stata troppo differente da istituto a istituto, soprattutto nel numero di ore in videolezione o nell’uso degli strumenti. Questo ha creato confusione e difficoltà per le famiglie. Come ricordato sopra, un timido tentativo del ministero di mandare a tutti i dirigenti e docenti alcune indicazioni per uniformare le attività didattiche a distanza ha suscitato molte opposizioni, in nome anche di una male intesa libertà di insegnamento e autonomia didattica dei docenti. Tuttavia, questi diritti vanno sempre messi in relazione con il diritto all’apprendimento, che non può essere messo a rischio da un’anarchia organizzativa e metodologica totale.

A tutte queste fragilità, più o meno strutturali, si sono aggiunte diverse critiche alla Dad, espresse con molta forza da una parte del corpo docente all’inizio di questa esperienza.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 2/20, pp. 250-257, è acquistabile qui