L’attuale crisi da Coronavirus ci interroga su una questione sociologica di fondo che riguarda la coesione della società. Possiamo chiederci, cioè, quanto la paura del contagio e la restrizione delle libertà individuali relative alla gestione dei contatti di compresenza fisica e alla libertà di movimento possano incidere, se protratte nel tempo, sui comportamenti prosociali e su quelli antisociali.

Vediamo anzitutto i comportamenti prosociali, cooperativi e di assistenza. Si è notato come, similmente alle situazioni provocate dai disastri naturali e tecnologici, la società italiana si sia mobilitata in modo cooperativo, soprattutto a difesa dei più deboli, tramite circuiti di assistenza formali e informali pubblici, privati e del Terzo settore. Ci troviamo di fronte perciò a positivi processi di solidarietà e di integrazione sociale che fanno ben sperare. Quello che non è stato ancora sufficientemente chiarito sono gli effetti che, alla lunga, potrebbe produrre la necessità di mantenere allertate e a distanza spaziale le interazioni cooperative in generale, e quelle di cura in particolare. La presenza della maschera segnala inesorabilmente il rischio del contatto diretto e la necessità di mantenere una certa distanza fisica. Le relazioni sociali cooperative risultano impoverite proprio di quella componente fisica di prossimità corporale che è carica di specifici processi di comunicazione cognitiva e, soprattutto, emotiva. La stessa cooperazione per via telematica (incluso il caso della telepresenza), che si è rivelata una risorsa essenziale in questa congiuntura critica, pecca, come si sapeva da tempo, di questa minor ricchezza comunicativa e di appagamento sensoriale. Tale situazione, oltre che pesare gravemente sui rapporti d’amore, parentali e d’amicizia, produce inevitabilmente un impoverimento dell’atto cooperativo, specie di quello basato sulla solidarietà e sull’altruismo. L’integrazione sociale risulta indebolita da uno stato di necessità che produce isolamento fisico.

Ma ci sono altre condizioni che interferiscono in modo limitativo sulla pienezza dell’atto solidaristico e altruistico. Se si guarda al sistema normativo posto in essere per affrontare l’emergenza, possiamo affermare che il rispetto della regola del distanziamento sociale ha una duplice valenza: di difesa personale dal contagio ma anche di salvaguardia degli altri attori sociali con cui interagiamo. Componente egoistica e dimensione altruistico-cooperativa coesistono nel momento in cui si ottempera alla regola del distanziamento sociale. Questo inevitabile intreccio di comportamento autointeressato e cooperativo interseca in modo disturbante le azioni che vorrebbero presentarsi nella forma dell’altruismo puro. Anche l’uso dell’analisi di rete applicata a fini epidemiologici può avere una duplice valenza: cooperativa se gli attori sociali acconsentono a essere monitorati nella loro rete di relazioni sociali per perseguire il bene collettivo del contrasto alla pandemia; di sorveglianza sociale (con i possibili risvolti moralmente ambigui della delazione) se uno Stato d’emergenza senza adeguati vincoli legislativi che ne limitino la durata temporale e il raggio d’azione finisce per invadere massicciamente la privacy dei cittadini. Per gli attori sociali trovare un equilibrato bilancio tra cooperazione volta a garantire la sicurezza dei cittadini e necessità di tutelare la propria privacy non è affatto un’operazione facile. Essa richiederebbe, comunque, una laboriosa discussione pubblica che risulta alquanto difficile realizzare nei tempi decisionali brevi dell’emergenza.

Tutte queste limitazioni imposte all’atto cooperativo dalle condizioni emergenziali che stiamo vivendo pongono ben in evidenza i rischi derivanti da un loro eccessivo protrarsi nel tempo.

Sempre guardando al sistema normativo, il non rispetto delle regole di distanziamento, oltre che essere autolesionista appartiene ovviamente ai comportamenti antisociali. Ma esistono anche comportamenti antisociali di cui meno si discute che meriterebbero, invece, una maggiore attenzione. Mi riferisco a tutte quelle azioni che producono disinformazione, minacciando di vanificare il potenziale di cooperazione collettiva presente nella società, potenziale necessario per fronteggiare efficacemente la minaccia pandemica. La ricerca di presunti colpevoli (ad esempio, i cinesi) o di complotti orditi (per esempio, dall’intelligence americana o russa) a danno della società colpite dal Coronavirus fa parte di queste azioni. Nel primo caso, si può arrivare ad atti di discriminazione e di intolleranza xenofoba, nel secondo si finisce facilmente per cadere in trappole consolatorie illudendosi di aver trovato una spiegazione razionale per un problema pandemico che, purtroppo, non è stato ancora risolto.

La necessità del distanziamento fisico produce, inevitabilmente, un crescente ricorso all’interazione telematica. Abbiamo visto che l’interazione online costituisce una risorsa importante nel contrasto all’isolamento sociale indotto dal distanziamento fisico, ma è altrettanto vero che essa può risultare minacciata da comportamenti antisociali che assumono la forma delle fake news e degli attacchi informatici (per esempio, quelli recenti verso i sistemi sanitari di molti paesi, inclusa, anche se in misura minore, l’Italia). Queste azioni possono indebolire gli sforzi profusi nella battaglia cooperativa contro il Coronavirus e minare la fiducia sociale. Tutto ciò pone con urgenza il problema di controlli e iniziative contro gli attacchi informatici e le fake news che siano efficaci senza essere eccessivamente lesivi della libertà di informazione, come è stato più volte suggerito dall’Unione europea e dall’Organizzazione mondiale della sanità. Tali controlli sono indispensabili al fine di tutelare le dinamiche fiduciarie e di mutuo aiuto che scorrono nel web (cfr. il mio La fiducia online).

La cooperazione a livello locale e globale è una conquista che va difesa dalle minacce indotte dall’isolamento prolungato e dalle manipolazioni presenti nel web. Se si riuscirà a tutelarla nella fase emergenziale, essa costituirà una risorsa fondamentale nel successivo processo di ricostruzione economica.