Una strage annunciata. Il 12 marzo, a Bangkok (BKK) il movimento delle camicie rosse aveva iniziato una grande manifestazione di protesta contro il Governo mobilitando circa 80.000 sostenitori. Questa manifestazione si è poi trasformata, dopo un mese, in una occupazione armata di due aree di BKK: quella vicino al Monumento per la Democrazia e quella dei grandi alberghi e centri commerciali (il cuore economico della città). Il 10 aprile i militari, che avevano ricevuto l’ordine di sgombrare l’area vicino al Monumento per la Democrazia usando, in caso di pericolo, solo pallottole di gomma, idranti e gas lacrimogeni, sono stati attaccati da alcuni dimostranti con granate e pallottole vere. Un gruppetto in tuta nera e a volto coperto, con addestramento militare e approfittando della copertura involontaria di migliaia di dimostranti, aveva aperto il fuoco sulle truppe incaricate di sgombrare l’area. Sei militari, un giornalista e venti manifestanti sono stati uccisi, i feriti sono oltre 800. Giovedì scorso è iniziato un altro confronto militare che ha lasciato sul campo altri 27 morti e più di 200 feriti. Sino ad ora i morti sono stati più di 60 ed i feriti oltre 1000.

Il movimento delle camicie rosse vuole lo scioglimento immediato del Parlamento ed entro un mese nuove elezioni politiche. Una richiesta non negoziabile fatta con l’idea di una sicura vittoria elettorale, condizione indispensabile per il ritorno dall’esilio del loro leader: Thaksin Shinawatra. L’attuale Governo, guidato dal partito dei Democratici, è nato da un “ribaltone” parlamentare. Nel dicembre 2008 la Corte Suprema ha deciso lo scioglimento del partito di Thaksin per frode elettorale (il partito si è subito ricostituito con altro nome, e i dirigenti giudicati responsabili della frode elettorale sono stati condannati a 5 anni di esclusione da cariche politiche e amministrative), ma una sua frazione, cambiando campo, ha deciso di allearsi con i Democratici. Per i “rossi” l’attuale Governo è illegittimo e quindi si deve dimettere: subito. Il Primo Ministro ha recentemente proposto elezioni anticipate per il 14 di novembre, ma l’offerta giudicata “interessante” da alcuni leader del movimento non è stata ancora accettata. E’ probabile che i “rossi” vogliano indebolire sempre di più la credibilità del PM accettando il rischio di giungere ad una vera e propria carneficina: i militari aspettano l’ordine di sgomberare le aree occupate, legittimati però nell’uso delle armi da guerra.

Al di là delle dichiarazioni di facciata dei leader, ci sono alcuni fatti che influenzeranno l’andamento dello scontro in atto: 1) alla fine di agosto deve essere nominato il nuovo capo delle Forze Armate ed i fedeli di Thaksin vogliono scegliere il suo successore; 2) il capo dell’ala militare del movimento, il generale di divisione Khattiya Sawasdipol (sospeso dall’esercito) è stato ferito gravemente e si dubita che possa sopravvivere. Era contrario all’accordo col Governo; 3) i leader del movimento corrono il rischio di essere ritenuti responsabili delle azioni di resistenza armata e della conseguente morte dei sei militari.

Tutti auspicano un accordo politico per una futura riconciliazione, ma se le parti in campo non accetteranno di passare dalla condizione di “nemici” a quella di “concorrenti”, la violenza in Thailandia è destinata ad aumentare.