Alla fine dello scorso mese di ottobre è scaduto il permesso ventennale relativo allo sfruttamento petrolifero e gassoso della concessione Val d’Agri, una porzione di territorio al centro della Basilicata che si estende su un raggio di 660 km quadrati, di cui è titolare l’Eni per il 60,77% e la Shell per il 39,23%. Le attività di prospezione e ricerca risalgono agli anni Ottanta, ma solo dal 1994 sono state avviate le prime attività estrattive con 4 pozzi e la costruzione di un primo centro olio, dove avviene un primo trattamento del greggio attraverso la separazione del petrolio da gas, acqua e zolfo, prima che lo stesso sia inviato alla raffineria Eni di Taranto per la vera e propria attività di raffinazione, tramite una condotta sotterranea di 133 chilometri.

Sono passati poco più di vent’anni anche dall’accordo istituzionale di programma che a suo tempo Eni, governo nazionale e Regione Basilicata sottoscrissero al fine di valorizzare il potenziale economico delle risorse minerarie presenti nel sottosuolo della regione. Il rinnovo della concessione è attualmente oggetto di un confronto tra l’Eni e il nuovo governo regionale di centrodestra, il primo nella storia recente della Basilicata sempre governata dalla Democrazia cristiana e poi, dai primi anni Novanta, da coalizioni di centrosinistra. In queste ultime settimane è oggetto di negoziato anche un nuovo accordo con la francese Total (dopo quello del 2006) in previsione dell’avvio del centro olio di Corleto Perticara, sempre in provincia di Potenza, ma nell’ambito della concessione Tempa rossa (concessione condivisa con Edison al 30% e che riguarda 3 comuni per un’estensione di 69 chilometri quadrati).

Oggi il petrolio estratto dai 24 pozzi in attività della concessione Val d’Agri (sui 54 autorizzati) è pari a circa 70 mila barili al giorno, ma fino a qualche anno fa la media era di 90 mila (sui 104 mila autorizzati dall’accordo del 1998). La produzione annuale della Basilicata corrisponde all’incirca al 6% dei consumi petroliferi nazionali, pari a 60 milioni di tonnellate di petrolio negli ultimi anni. I 3,7 milioni di tonnellate di olio greggio prodotti in Basilicata nel 2018 costituiscono circa l’80% del petrolio estratto tra terra e mare in Italia, mentre la produzione di gas, che copre il 3% dei consumi nazionali, è salita a circa il 30% del gas estratto sul territorio nazionale. Ciò rende, di fatto, la produzione della Basilicata l’epicentro della produzione petrolifera nazionale e a breve anche di quella del gas su terraferma. Si tratta, inoltre, di percentuali destinate a salire con l’entrata in funzione di 6 degli 8 pozzi autorizzati nell’ambito della concessione Tempa rossa, la cui produzione giornaliera, a regime, è stata indicata dalla Total in 50 mila barili. Il petrolio estratto potrebbe, dunque, soddisfare a breve il 10% dei consumi petroliferi nazionali e una quota superiore dei consumi di gas.

In un’epoca sempre più contrassegnata dall’urgenza di adottare provvedimenti contro i cambiamenti climatici in corso, la perseveranza nello sfruttamento degli idrocarburi in Basilicata appare quanto meno controintuitiva. Si tratta di un aspetto singolare se si osservano le recenti campagne pubblicitarie dell’Eni, società – è bene ricordarlo – ancora controllata dal ministero del Tesoro e nella quale il governo ha il potere di nomina di presidente e amministratore delegato. Da due anni a questa parte l’Eni, in televisione come sulla carta stampata, non pubblicizza più prodotti petroliferi (diesel o benzina) ma attività di riciclo, produzione di nuovi materiali, fonti alternative di energia: appare insomma come un’azienda interamente voltata alla transizione energetica; ma non evidentemente in Basilicata, dove sono del tutto assenti investimenti diversi da quelli legati allo sfruttamento degli idrocarburi.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 6/19, pp. 956-964, è acquistabile qui