Le «general elections» britanniche tra sondaggi e fake news. La domanda se la pongono in tanti: non per chi ma perché votare in uno tra i più aspri, radicalizzati e falsificati confronti elettorali che la Gran Bretagna abbia vissuto in tutta la sua storia moderna. Un confronto aspro perché cerca di risolvere una volta per sempre la questione che due Parlamenti e tre primi ministri non sono riusciti a superare negli ultimi tre anni, Brexit, con la conseguente esasperazione generale di ogni forma di confronto politico, pubblico o privato, parlamentare o giudiziario. Un confronto radicalizzato perché sembra che entrambi i principali partiti politici siano stati in qualche modo «catturati» dai loro elementi più estremi attraverso manovre, soprattutto nel caso dei conservatori, di una spregiudicatezza che assai di rado si è vista all’interno di quel partito. E, infine, un confronto profondamente alterato perché distorto dai social media, dalla grande stampa, dalla televisione e dai sondaggi.

Tutti gli esperti enfatizzano il presunto ruolo di Facebook, Twitter e degli altri social senza mai spiegare davvero come tale influenza funzionerebbe. Certo è che tutti i politici, senza eccezione, danno grande importanza a questi mezzi di comunicazione – nella campagna referendaria del 2015-2016 Corbyn era praticamente invisibile, se non su Facebook – anche se è proprio attraverso questi che ricevono la grande massa di messaggi violenti che ha costretto tanti deputati di tutti gli schieramenti a gettare la spugna negli ultimi mesi. Ma nessuno è in grado di mostrare la distribuzione di questi mezzi per fascia di età, classe sociale o area geografica; tanto meno è in grado di stimare in maniera sufficientemente affidabile la loro vera incisività politica. Il 5 dicembre il «The Guardian» ha pubblicato una ricerca che suggerisce che i giovani utenti mescolano ogni forma di sollecitazione che ricevono dai loro telefonini senza criterio, tendendo a trasformare tutto in una forma di svago, per se stessi e per i loro amici. Nessun politico può permettersi oggi di rinunciare ai social media, anche perché i giovani, che si immagina ne siano i principali utilizzatori, questa volta sono andati in massa a registrarsi per il votoEvidentemente nessun politico può permettersi oggi di rinunciare ai social media, anche perché i giovani, che si immagina ne siano i principali utilizzatori, questa volta sono andati in massa a registrarsi per il voto: due terzi dei 3,2 milioni che si sono registrati per votare da quando la data dell’elezione è stata annunciata, il 29 ottobre scorso, hanno meno di 34 anni. Sembra essere questa l’unica vera novità alla vigilia di queste elezioni, le cui implicazioni restano però tutte da verificare, anche se il recente passato suggerisce che a trarne maggior vantaggio dovrebbe essere Corbyn.

La grande stampa – e i programmi di attualità in televisione e in radio – ha contribuito a falsificare queste elezioni non solo per la tradizionale militanza pro-Tories e pro-Brexit della stragrande maggioranza della carta stampata. Vi è un altro fattore che distorce il quadro che questi media vorrebbero proporci. Mai come in quest’occasione i giornalisti londinesi di tutte le testate sono andati nelle remote province del Paese alla ricerca della «voce del popolo»(seguendo, come così spesso succede nei media inglesi, l’esempio dei colleghi americani). Ma per trovarla si sono concentrati esclusivamente sulle zone più disgraziate, dove il voto per il Leave ha fatto man bassa di consensi, e soprattutto non sono andati quasi mai in Scozia, in Galles o nell’Irlanda del Nord. Ciò rischia di snaturare molto la loro percezione, visto che il numero di seggi in Scozia che potrebbe cambiare colore è particolarmente alto; e nel caso irlandese, fino all’altro ieri, il rapporto Irlanda del Nord-Repubblica irlandese era la questione chiave che bloccava ogni progresso verso un accordo sulla Brexit. Da quando a Johnson non è più servito il sostegno dei protestanti dell’Ulster per stare al potere, e ha così portato da Bruxelles una modifica degli accordi raggiunti fin a quel momento in senso esattamente contrario a quello che aveva promesso fino ad allora, danneggiando i protestanti, l’Irlanda è del tutto scomparsa dal dibattito promosso dai media londinesi. Nei numerosi dibattiti televisivi tra i leader dei vari partiti, compresi i nazionalisti scozzesi e gallesi, l’Irlanda del Nord è stata del tutto assente.

Ma veniamo ai sondaggi. Da quando hanno prognosticato una solida maggioranza per il Remain nel referendum del 2016, i sondaggi hanno sempre più perso credibilità come fonte di previsioni affidabili sul comportamento degli elettori. Nelle elezioni del 2017, le loro previsioni si differenziavano: da chi – quasi tutti – dava alla May una maggioranza ampia, a chi – come YouGov – le attribuiva una maggioranza relativa, come infatti si è verificato. Ora i sondaggi concordano solo su due aspetti: il primo è che mai come di questi tempi gli elettori sono disposti a cambiare ogni forma di lealtà politica espressa nel passato. Pochi giorni fa, il 4 dicembre, il «Financial Times» ha notato che tra 1964 e 2017 il numero di persone che ha cambiato preferenza politica in occasione delle General elections è aumentato dal 13% a quasi un terzo; nel 2015 fu il 42%. Eppure alle elezioni europee del 2019 quella percentuale è letteralmente esplosa: il 74% avrebbe abbandonato il partito votato solo due anni prima, alle elezioni del 2017. Il secondo giudizio condiviso da tutti i sondaggisti è che tanto Johnson quanto Corbyn siano visti con disprezzo dal pubblico, con Johnson a -20% e Corbyn che arriva a sfiorare un -40% di popolarità.

Poiché nel 2019 è particolarmente difficile distinguere tra chi deciderà come votare secondo il proprio feeling sulla questione Brexit (come vorrebbero i conservatori) e chi per un mare di possibili altri motivi (come si augura Corbyn), i sondaggisti si sono sforzati di inventare una gamma di nuove tecniche e domande per rendere più predittivo il proprio lavoro. YouGov cerca di completare sondaggi tutti i giorni, e «modellare» il risultato in ogni circoscrizione. Il 27 novembre scorso ha diffuso, basandosi su oltre 100 mila campioni, la previsione di un’ampia maggioranza per Boris Johnson: 68 seggi, con Corbyn umiliato. Ma proprio lo stesso giorno il «Daily Telegraph» ha pubblicato un altro sondaggio, basato su più di 2.300 interviste, che indica un recupero del Labour e un vantaggio di Johnson di solo 10 seggi. Dopo tre anni e mezzo di battaglia politica su Brexit e approssimandosi la fine di una nuova campagna elettorale, ovunque si notano segni di disorientamento, sconforto e alienazione Tradizionalmente il popolo britannico ha sempre preferito non occuparsi di «politica»: le persone che si considerano «per bene» tendono a storcere il naso di fronte a chi vuole disturbare la loro tranquillità introducendo nella conversazione motivi di possibile disputa e antagonismo. Anche per questo non si vota mai sotto Natale; le campagne elettorali di solito durano non più di tre settimane; i partiti sono sempre più marginali, e la politica locale è debole e sconosciuta ai più. Così, dopo tre anni e mezzo di battaglia politica su Brexit e approssimandosi la fine di una nuova campagna elettorale, ovunque si notano segni di disorientamento, sconforto e alienazione. Anche per questo Johnson insiste nel dire che la sua priorità assoluta è «farla finita con la Brexit», e Corbyn cerca a tutti i costi di parlar d’altro.

Ancora una volta, l’unica certezza è che sarà decisiva l’affluenza ai seggi. Sperando che il 12 dicembre non cominci a piovere a dirotto.