«The first game where women make more than men». Così recita la scatola di Ms. Monopoly, la nuova edizione del celebre gioco da tavolo che la Hasbro ha ora lanciato in una versione «al femminile». Ms. Monopoly mette al centro le donne a partire dal soggetto rappresentato sulla scatola: la Signora Monopoly è una giovane donna dallo sguardo vivace, in jeans e scarpe con il tacco; immagine che soppianta quella tradizionale dell’attempato signore con baffi bianchi e cappello a cilindro. A livello di regole di gioco le novità introdotte sono principalmente due. Si crea un mondo in cui le donne guadagnano più degli uomini, al contrario di quello reale in cui in ambito lavorativo vi è ancora un forte divario retributivo di genere a parità di mansione: al passaggio dal «via» le giocatrici ritirano dalla banca 240 dollari mentre i giocatori 200. Inoltre, invece di investire in proprietà immobiliari, chi gioca investe in invenzioni e innovazioni create da donne che hanno lasciato il segno nella storia. In tale modo si celebra e si valorizza l’impatto che hanno avuto nella società inventrici, scienziate e imprenditrici, spesso poco conosciute dal largo pubblico (da Nancy Johnson, inventrice della macchina del gelato a Rosalind Franklin, creatrice del modello del DNA). Per comprendere a pieno l’operazione simbolica e valoriale intrapresa, si segnala infine che l’azienda, contestualmente al lancio del gioco, ha deciso di fare qualcosa di concreto finanziando con circa 20.000 dollari, ciascuna delle tre giovanissime inventrici: Sophia Weng, sedicenne del Connecticut che sta per brevettare uno strumento in grado di rintracciare doline prima che si verifichino; Gitanjali Rao, tredicenne di Denver che ha inventato un sistema che permette di scovare tracce di piombo nell’acqua potabile; Ava Canney, sedicenne nordirlandese che ha creato uno spettrometro che misura le quantità di colorante nelle caramelle.Ms. Monopoly è perfettamente in linea con la recente tendenza in ambito pubblicitario di promuovere l’empowerment femminile, ossia l’avanzata delle donne nella società in nome della parità/pari opportunità tra i generiSi può osservare che Ms. Monopoly è perfettamente in linea con la recente tendenza in ambito pubblicitario di promuovere l’empowerment femminile, ossia l’avanzata delle donne nella società in nome della parità/pari opportunità tra i generi (il cosiddetto femvertising, termine coniato nel 2014 dall’azienda statunitense SHE Media) e di quella che in ambito aziendale viene definita «responsabilità sociale di genere» (rimando al mio, La comunicazione di genere, Carocci, 2018). Si tratta dunque di una vera e propria strategia di marketing all’insegna del girl power, che altre aziende di giocattoli negli ultimi anni stanno perseguendo per mostrarsi al passo con i tempi e intercettare così le nuove generazioni femminili sempre più istruite ed emancipate. Ad esempio si ricorda il video virale sul web della pubblicità della Barbie «Imagine the possibilities» lanciata nel 2015 dalla Mattel, che inneggia alla libertà delle bambine di «essere ciò che desiderano» da grandi, dalla veterinaria all’allenatrice di calcio, dalla docente universitaria alla donna in carriera. E con la medesima finalità di offrire modelli di ruolo femminili forti e vincenti la Mattel ha realizzato Barbie a immagine e somiglianza di donne celebri con la linea Shero (She + Hero): dalla ballerina afroamericana Misti Copeland alla pittrice Frida Kahlo, dalla modella curvy Ashley Graham alla regista di «Wonder Woman» Patty Jenkins (tra le italiane vi sono l’astronauta Samantha Cristoforetti, la fashion influencer Chiara Ferragni e la capitana della nazionale di calcio femminile Sara Gama).

Le finalità che hanno portato alla realizzazione di Ms. Monopoly vanno senza dubbio giudicate positivamente: il gioco, proponendo il role model della «donna imprenditrice», mira a decostruire classici stereotipi di genere che vedono le donne poco adatte al mondo dell’impresa e del business – e in particolare poco abili nel gestire ampie somme di denaro (a parte la gestione dell’economia familiare) – così come si ritiene siano poco adatte allo studio e a svolgere professioni nell’ambito Stem (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica). In generale la nuova versione del gioco combatte l’idea, rafforzata in larga misura nei libri di testo delle scuole primarie e secondarie, che le donne abbiano scarsamente contribuito al progresso della società con scoperte, invenzioni o progetti imprenditoriali rilevanti.

Al tempo stesso vi sono alcune caratteristiche del gioco a mio avviso poco convincenti e forse controproducenti ai fini del tentativo di modificare il sistema socioculturale in direzione di un’effettiva parità di genere. Innanzitutto la questione del «vantaggio» femminile in termini economici: sebbene sia importante sensibilizzare la cittadinanza sul tema del gender pay gap, nel mondo del Monopoly giocatrici e giocatori dovrebbero essere messi sullo stesso piano per scongiurare l’effetto boomerang di rafforzare quegli stessi stereotipi che si intendono decostruire. Se una donna vince contro un uomo, può pensare di avere vinto grazie all’aiutino, perdendo fiducia nelle sue capacità, mentre se perde nonostante il vantaggio, si convincerà di non essere adatta alle attività imprenditoriali. E gli uomini d’altro canto potrebbero essere invogliati a giocare solo per dimostrare la loro presunta superiorità nei confronti delle donne nel campo degli affari. Le quote rosa, a cui questo «vantaggio» fanno pensare, possono avere senso in situazioni lavorative in cui avviene una discriminazione sistematica del genere femminile, ma non in un gioco che nasce proprio per dimostrare che le capacità imprenditoriali possono riscontrarsi tanto negli uomini quanto nelle donne. Nel mondo del Monopoly giocatrici e giocatori dovrebbero essere messi sullo stesso piano per scongiurare l’effetto boomerang di rafforzare quegli stessi stereotipi che si intendono decostruireInoltre, ravviso il rischio di un’occasione mancata nel cercare di modificare i preconcetti maschili nei confronti delle donne. Un gioco che valorizza e gratifica soprattutto il genere femminile riuscirà a coinvolgere i soggetti di genere maschile? E in quale reparto dei negozi di giocattoli andrà a finire? In quello «per tutti» o nel reparto «fucsia», il «ghetto rosa» dell’industria dei giocattoli? Non sarebbe forse più efficace, per comunicare il concetto di parità/pari opportunità, creare giochi capaci di coinvolgere entrambi i generi educando donne e uomini fin dall’infanzia a interpretare ogni tipo di ruolo sia professionale sia connesso alla cura in maniera interscambiabile? Ad esempio si potrebbe pensare a giochi in cui donne e uomini vincono se fanno un buon lavoro di squadra (la direzione intrapresa recentemente dalle aziende che puntano al diversity management, ossia alla valorizzazione delle differenze), come un Ms. e Mr. Monopoly che preveda non solo competizione ma, se si gioca in tanti, anche alleanze tra i generi; oppure a bambole, Barbie & Ken comprese, che sollecitino bambine e bambini a giocare «a fare famiglia» dividendosi i compiti di cura della prole equamente.

Ad ogni modo, al di là delle criticità sopra evidenziate (e di altre possibili idee per combattere gli stereotipi di genere), i giochi tradizionali come la bambola Barbie e il Monopoly rivisitati nella versione girl power sono da considerarsi esperimenti interessanti e lodevoli per le ricadute che potranno avere nel prossimo futuro sull’immaginario collettivo e in particolare sulla scelta dei percorsi di studio e professionali delle nuove generazioni femminili.