Nella critica al giornalismo popolare e commerciale si è sempre detto che la sua materia prima fosse racchiusa in cinque «esse»: sangue, sesso, salute, sport e soldi. Tale valutazione è tuttavia sempre apparsa lontana dal mondo europeo continentale, e in particolare da quello italiano, caratterizzato dal monopolio pubblico radiotelevisivo, dal giornalismo politicizzato e dall’assenza di un giornalismo schiettamente popolare. A partire dagli anni Ottanta, con l’avvento della televisione commerciale, si è preso atto che le cinque esse erano arrivate anche nel nostro Paese. Il sistema cominciava a subire una torsione commerciale nel modello economico e nei contenuti.

La commercializzazione ha fatto molta strada in tutti i sistemi mediali occidentali, aiutata dall’innovazione tecnologica, che ha dislocato i prodotti informativi su diverse «piattaforme» mediali, tanto da poter rintracciare cinque nuove esse in grado di raccontare almeno l’essenziale dei cambiamenti e delle tendenze in atto: non più nel giornalismo popolare, ma nel giornalismo popolarizzato.

Nell’opacità determinata da una situazione in cui le finalità economico- industriali e quelle genuinamente informativo-formative tendono a sovrapporsi e a confondersi, il processo di ibridazione del giornalismo d’élite (o di qualità) ha provocato un cambiamento del linguaggio e una sensibilità crescente verso la spettacolarità della politica. In Italia si è passati dalla stagione delle gravose riflessioni sull’obiettività a quella che guarda alla degenerazione valoriale dei mezzi d’informazione e alla loro capacità di prevaricazione culturale e politica. L’ampia letteratura disponibile anche in lingua straniera parla di autonomizzazione dal legame con la politica. Non è però sfuggito che una simile trasformazione, anche se vi è stata, è andata a mescolarsi con le consuetudini precedenti, dando vita in questo modo a un impasto strano, fatto di inclinazione allo spettacolo e di partigianeria, vigilanza critica sulla politica e advocacy ideologizzata.

Il rapporto tra mezzi d’informazione e politica, oltre che multiforme, appare mutevole, dai tratti incostanti, seppure più che mai centrale. Tuttavia sembra rimanere ancora abbastanza delineata l’immagine di due sistemi che si muovono con una sostanziale reciprocità collaborativa, o almeno con una notevole capacità di monitoraggio bidirezionale, fino a una cooperazione di fatto (a volte quasi si potrebbe dire una complicità), come già osservato per il caso statunitense (si vedano i volumi di R.M. Entman, Democracy Without Citizens. Media and the Decay of American Politics, Oxford University Press, 1989 e Projections of Power: Framing News, Public Opinion, and U.S. Foreign Policy, The University of Chicago Press, 2004; oltre a W.L. Bennett, R.G. Lawrence e S. Livingston, When the Press Fails. Political Power and the News Media from Iraq to Katrina, The University of Chicago Press, 2007).

 

[L'articolo completo pubblicato sul "Mulino" n. 4/19, pp. 555-562, è acquistabile qui