La crescita fuori controllo della città suburbana. Tra il censimento del 2011 e quello del 2016, la popolazione dell’Irlanda cresce meno della metà rispetto al periodo che va dal 2002 e al 2011 (quando era all’8%). Sono gli anni della cosiddetta “tigre irlandese”, durante i quali la crescita media nell’Unione europea è dello 0,2%. Ma nei confronti europei l’Irlanda rimane fuori dai gruppi di testa. I dati del suo Ufficio statistico centrale indicano che il 62% della popolazione risiede in aree urbane, due terzi dei centri con almeno 10.000 abitanti si trovano nel Leinster, una delle quattro province del Paese. La Greater Dublin area (GDa) comprende i quattro Consigli della città di Dublino, più le adiacenti contee rurali di Kildare, Meath e Wicklow. Ma la GDa esiste soltanto come entità geografica e amministrativa, non ha la fisionomia di un “posto” che rappresenti per la gente l’oggetto di particolare attaccamento o una fonte di orientamento. Ciò nonostante, ha una presenza saliente nell’immaginazione collettiva, dato che  con il suo milione e 900 mila abitanti raccoglie il 40% della popolazione dello Stato. Quello che viene considerato il motore dell’economia irlandese, la Camera di Commercio di Dublino,  osserva che coloro che hanno impiego nella GDa costituiscono il 42% di chi ha un impiego sull’intero territorio nazionale.

In Irlanda il processo spesso designato come sub urbanizzazione prende il suo avvio alla metà del XX secolo, e subisce un’accelerazione parallelamente alla consistente crescita della popolazione, in particolare quella che risiede nella GDa. Lo studio Suburban Administration, che ho scritto insieme a Jane Gray e Michel Peillon, mostra come queste località spesso non meritino le dure critiche rivolte loro da parte di chi le considera “terre desolate” o popolate da gente con pochissima fiducia nei confronti  dei vicini che si ritrova negli insediamenti recenti. Si tratta di luoghi che spesso danno spazio ad aggregazioni variabili ma significative tra chi vi risiede, vicini, amici e famiglie allargate. Tutti questi aspetti influenzano la misura e il contenuto dei sentimenti nei confronti del posto e delle reti sociali che gli individui creano e a cui possono attingere.

La vita nelle aree suburbane dipende in vario modo da numerosi fattori, quali  la natura e la velocità dello sviluppo del singolo sobborgo, il carattere di che viene a farne parte, il momento della propria esistenza di chi viene a risiedervi; le caratteristiche pre-esistenti delle popolazioni già insediate in una determinata località. La chiesa cattolica e organizzazioni volontarie quali i club della Gaelic Athletic Association hanno svolto un ruolo importante nell’insediamento di nuovi arrivati. Ma ci si può chiedere fino  a che punto possano continuare a svolgerlo in futuro. Occasioni di aggregazione e d’incontro continuano a esserci ma in qualche misura vengono indebolite nella misura in cui la soddisfazione di bisogni sociali viene progressivamente demandata alle interazioni online.

Nel corso degli ultimi decenni, i sobborghi irlandesi hanno dovuto fare i conti con le difficoltà derivanti dalle politiche di austerity, dall’impatto del mercato immobiliare, con un numero crescente di individui e famiglie senza fissa dimora, la persistenza di forme di segregazione basate sulle appartenenze di classe e, più recentemente, su quelle di tipo etnico, che si manifestano sia dal punto di vista sociale sia da quello spaziale. L’accesso a abitazioni di edilizia popolare non è diffuso in tutta Dublino, ma è concentrato in alcune zone in particolare. Nuovi gruppi di immigrati tendono ad aggregarsi in determinate zone. Nel 1916 poco più di mezzo milione di individui di nazionalità non-irlandese tendeva a concentrarsi entro la GDa. Il 26 % di loro risiedeva entro Dublin City o entro la contea Fingal (North Dublin). Alcuni gruppi erano presenti in gran numero in determinate località. Dal censimento del 2016 risulta che mentre l’1,38% del totale della popolazione residente a Dublino appartiene a gruppi etnici d’origine africana, questa percentuale arriva all’11% a Balbriggan e ai 5,5% a Balrothey, entrambe località situate entro North County Dublin. Individui che si dichiarano “bianchi ma non irlandesi” costituiscono quasi il 10%  dell’intera popolazione, ma il 25% a Saggart, un quartiere di South West Dublin. Attualmente l’espansione demografica di Dublino nel suo insieme e la sue caratteristiche zona per zona fanno pensare che nei prossimi decenni queste differenze, in termini spaziali e di classe, tenderanno a consolidarsi e ad accrescersi.

Le politiche richieste per gestire questi aspetti della sub-urbanizzazione richiedono strategie in grado non soltanto di preservare e vitalizzare Main Street ma anche di individuare e caratterizzare spazi pubblici, di rafforzare le connessioni tra le loro componenti, di promuovere sviluppi che ne permettano impieghi diversi. Occorrerebbe poi lavorare al fine di rendere i sobborghi meno omogenei in termini di età, classe, tipo di famiglia, razza e etnia di appartenenza.

Questi aspetti della attuale suburbanizzazione di Dublino sono riscontrabili in molte altre grandi città, tra cui – a giudicare da alcuni lavori recenti – sembrerebbe esserci anche Roma (si veda M. d’Eramo, The not so eternal city, “New Left Review”, luglio-agosto 2017, pp. 77-104). In alcune città in particolare certi fenomeni si manifestano in maniera particolarmente nefasta, provocate in qualche modo dagli stessi errori  e dagli stessi deficit nella gestione politica del fenomeno della suburbanizzazione nel suo complesso.