Pongo, e mi pongo, innanzitutto una domanda: che cosa intendiamo, oggi, quando parliamo di classe dirigente? Che cos’era la classe dirigente ieri? E che cosa è cambiato (se è cambiato) nei processi di formazione delle classi dirigenti?

Vengo dall’aver scritto un libro sullo Stato fascista. I fascisti proclamavano negli anni Venti e Trenta di essere loro, la nuova classe dirigente. In realtà non tenevano conto della complessità del tessuto sociale dell’Italia, sebbene allora fosse infinitamente meno articolato di quello dell’Italia di oggi. La loro fu, infatti, una «rivoluzione imperfetta». E imperfetta fu la loro classe dirigente.

Una classe dirigente non si forma per decreto, non balza armata (come si diceva una volta) dal cervello di Giove. Ha basi profonde, radici antiche nella storia di un Paese e nella distribuzione e stratificazione storica del suo potere economico, della sua stratificazione sociale. Ne fanno parte in molti. Non solo i componenti del ceto politico, ma, anche di più, i soggetti forti della finanza, i proprietari e i manager delle industrie, i percettori di rendita, gli esponenti di spicco nazionale delle grandi professioni, i membri dei grandi corpi dello Stato e delle magistrature, gli esponenti dell’élite militare e persino i vertici della piramide ecclesiastica. I grandi presidenti di banca sono classe dirigente. Lo sono i baroni universitari (per lo meno in certi settori più prossimi alla vita pubblica, nella quale si integrano spesso intimamente) o i capi della rete sanitaria (esiste una élite della salute: e tutti cerchiamo – se abbiamo il cancro – di farci curare dai chirurghi migliori). I grandi intellettuali che fanno opinione sui giornali e coloro che la stampa e le televisioni la controllano.

Quanti saranno oggi in Italia? Ormai molti anni fa un sociologo francese, Jean Meynaud, nel suo Rapporto sulla classe dirigente italiana (Giuffrè, 1966), provò a censirli. Io, per parte mia, ho provato a contare quelli del ventennio fascista. E ho fatto una piccola scoperta: che quasi tutti quelli che comandavano prima sopravvissero bravamente alla presunta rivoluzione fascista, indossarono la camicia nera e continuarono a comandare come prima. Anzi, più di prima.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 1/19, pp. 105-111, è acquistabile qui]