Per deformazione professionale capita, prendendo in mano un libro fresco di stampa, di scorrere subito la bibliografia. Così mi succede anche per questa recentissima Storia dell’immigrazione straniera in Italia (Carocci, 2018) di Michele Colucci – ricca ben al di là delle sue 240 pagine – dove saltano agli occhi articoli, anche di quotidiano, che indicano come la “questione immigrazione”, poco alla volta trasformata in “emergenza immigrazione”, abbia radici in Italia in tempi lontani, ben prima dell’esplosione della “crisi” verificatasi con un’impennata degli arrivi tra il 2014 e il 2015. Ne trovo uno, solo per fare un esempio, di Marco Corrias, uscito su “la Repubblica” del 12 maggio 1989, intitolato A Cagliari una lista elettorale contro gli immigrati africani. Trent’anni fa.

Nel mostrare con chiarezza e abbondanza di dettagli dove risiedano le origini dei fenomeni che accompagnano l’immigrazione straniera nel nostro Paese sta il merito principale di questo libro, che prende le mosse dai primissimi anni del dopoguerra, quando l’Italia è Paese di transito di profughi. In questo periodo non si può ancora parlare di immigrazione, quanto piuttosto di presenze e passaggi di popolazione straniera. Sono anni importanti, perché sono quelli in cui si inizia a discutere (anche all’interno del processo costituente) di fenomeni che poi, nella storia della nostra Repubblica, assumeranno via via caratteri meno episodici e più stabili. Come ricorda lo stesso Colucci, «questi movimenti di popolazione mettono a dura prova le strutture di accoglienza del nascente Stato repubblicano e pongono all’attenzione dell’opinione pubblica e della classe dirigente problemi e questioni che si riproporranno ciclicamente nei decenni seguenti». Si pone il problema della gestione, che poi non ci lascerà più: nascono veri e propri campi, in cui si sovrappongono storie ed esperienze personali anche molto diverse. Le vicende belliche con i relativi campi di prigionia costituiscono, purtroppo, un modello di riferimento, più o meno consapevole.

In particolare, l’Italia, anche per la sua posizione geografica, è terra di transito per Eretz-Israel, la terra di Israele, quando i leader sionisti decidono di sostenere l’immigrazione clandestina in Palestina, organizzando grandi quantità di profughi di guerra ebrei provenienti dall’Europa senza l’approvazione delle autorità britanniche. In questo periodo si diffonde rapidamente la sensazione che la presenza di stranieri ed ebrei in numero significativo possa rappresentare un elemento di turbamento dell’ordine pubblico.

Come si vede già da questi pochi accenni, si pongono questioni che poi torneranno di grande attualità nel rapporto tra popolazione locale e popolazione straniera, con la mediazione della politica e delle istituzioni. A questo proposito appare molto significativo, e per questo lo riporto integralmente, il brano (riprodotto a p. 23) dell’intervento in Costituente dal deputato comunista Umberto Nobile. È l’11 aprile 1947:

 

Che il diritto di asilo debba concedersi a rifugiati politici isolati è cosa fuor di questione; ma domani potrebbero battere alle nostre porte migliaia di profughi politici di altri Paesi, e noi saremmo costretti a dar loro asilo senza alcuna limitazione, quando restrizioni potrebbero venire consigliate anche da ragioni di carattere economico.

 

Si tratta, come si vede, di preoccupazioni non troppo dissimili da quelle che si riaffacceranno in Italia a partire dagli anni Novanta, poi esplose nel più grande conflitto ideologico dai primi anni di questo secolo con la contrapposizione tra schieramenti di apertura a prescindere a qualsivoglia forma di accoglienza di popolazione straniera e, viceversa, chiusure totali anche a costo di disattendere gli impegni e gli accordi internazionali.

Già a partire dagli anni Cinquanta, e nel decennio successivo, la questione di cui tratta il libro si sovrappone inevitabilmente con le uscite dal Paese, i movimenti di popolazione italiana verso l’estero. Si pongono sia il tentativo, da parte italiana, di fare dell’emigrazione un fenomeno di tipo europeo e non nazionale, quanto le prime, nette chiusure a qualsiasi ipotesi di apertura delle frontiere, in particolare da parte di Francia e Germania. Temi non nuovi anche nell’era di Schengen, per quanto traballante.

Il libro di Colucci entra poi via via nel dettaglio dei flussi, analizzandone la tipologia e la dimensione quantitativa: chi arriva in Italia per lavorare, chi per studio; sino a giungere al decennio Ottanta, quando si assiste a una più ampia diffusione sul territorio nazionale. Già dalla seconda metà degli anni Settanta l’attenzione per il fenomeno è cresciuta, ma sono gli Ottanta, quando vengono pubblicati articoli di giornale come quello da cui siamo partiti, il decennio in cui la questione migratoria diventa centrale. Iniziano le ricerche e mano a mano diventano disponibili i primi dati. Gli anni a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta segnano una svolta, di cui Colucci dà conto nel IV capitolo. È una nuova stagione, complice anche in questo caso il crollo del muro di Berlino e, nello specifico, un grave fatto di cronaca, rappresentato dall’omicidio di Jerry Masslo, un trentenne nero proveniente dal Sudafrica che non aveva potuto ottenere lo status di rifugiato non essendo cittadino dell’Europa dell’Est. La sua morte rappresenta una sorta di presa d’atto della necessità di porre con chiarezza la questione dei diritti e dei doveri agli stranieri immigrati nel nostro Paese. In quel periodo nel dibattito pubblico emerge la questione dei venditori ambulanti, che come abbiamo visto anche nella scorsa estate, con alcuni provvedimenti adottati dai Comuni della riviera, non ha certo perso di attualità.

Il volume prosegue nel racconto dell’immigrazione, passando attraverso gli interventi normativi e soffermandosi in particolare su alcune vere e proprie cesure storiche, come gli arrivi in massa dall’Albania nel 1991. Mano a mano si arriva allo scenario più recente, in particolare al decennio che parte con il 2008 e arriva a questi mesi, passando attraverso la crisi delle politiche che ha segnato una questione diventata decisiva sulla scena politica italiana. 

Capire l’immigrazione di oggi (e tutto ciò che nel dibattito pubblico ruota intorno ad essa) attraverso la storia dell’immigrazione. Questo ci aiuta a fare, con un continuo richiamo non solo alle ricerche sul tema ma anche alla cronaca, agli iter politico-parlamentari e alla stampa quotidiana, la lettura di questo prezioso volume. Una lettura auspicabile. Da suggerire in particolar modo a chi si trova a dover indirizzare oggi nel nostro Paese le politiche pubbliche in questo settore delicato e foriero di possibili, nuove divisioni.