Un idioma politico in rapida affermazione nel mondo occidentale presenta come desueto il classico cleavage destra/sinistra sviluppatosi a partire dalle rivoluzioni di fine Settecento, e descrive con toni e argomenti neoplebeisti il conflitto politico del post Novecento come uno scontro fra élite e popolo. Questa visione è veicolata in primis dalla nuove formazioni nazional-populiste e social-sovraniste, ed è programmaticamente parte delle loro strategie comunicative anche in funzione auto-legittimante. Si tratta di materiali puramente discorsivi, ma così formidabilmente performativi da apparire una valida chiave interpretativa della trasformazione politica in corso e da egemonizzare trasversalmente immaginari politico-culturali e orizzonti analitici.

Il pervasivo successo di questi schemi si misura a ogni livello della sfera pubblica. Come dimostra il recente turno elettorale amministrativo, essi influenzano ormai anche la politica locale. Non a caso, il tramonto della regione rossa sancito dal voto in alcuni comuni toscani è stato letto in presa diretta da uno dei suoi protagonisti – nel frattempo nominato assessore leghista alla Cultura a Pisa – come «una vittoria del popolo contro le élite rosse». La colorazione – di contesto – delle élite non solo conferma l’adattabilità di scala della dicotomia neoplebeista, ma soprattutto il suo strutturale profilo politico-performante. Proprio il caso di Pisa, per la rilevanza della città e lo scalpore suscitato dal risultato elettorale sui media (inter)nazionali, può risultare utile per provare a decostruire l’idioma dominante prima che si trasformi in paradigma.

Il boom elettorale della Lega – passata dallo 0,35% dei voti del 2013 a primo partito cittadino con il 24,7% – ha sospinto al primo turno il candidato sindaco del centrodestra Michele Conti, ex Alleanza nazionale e direttore del Consorzio agrario, iscrittosi al partito di Matteo Salvini nel corso della campagna elettorale. Tuttavia, nel ballottaggio, vinto per circa 1.800 voti sul democratico Andrea Serfogli, assessore al Bilancio della giunta uscente, è stata decisiva la ricomposizione silenziosa del fronte sovranista di governo. Infatti, la maggior parte degli elettori del M5S (9,9%) è tornata alle urne e ha votato per l’aspirante primo cittadino neoleghista. Si è trattato di un remake di quanto avvenuto nel  2016 nel vicino ex comune rosso di Cascina, in occasione del trionfo – inatteso e di misura – della studentessa fuori corso Susanna Ceccardi, sindaco-simbolo della folgorante avanzata del leghismo lepenizzato in Toscana e di un metaforico assedio della provincia alla città-capoluogo, concretizzatosi già il 4 marzo 2018 con la conquista dei collegi uninominali pisani di Camera e Senato da parte di due assessori della sua giunta.

Nella plastica rappresentazione del giorno dopo, la storica sconfitta del Partito democratico  è diventata per i vincitori, e in parte anche per i vinti, la resa di un centrosinistra asserragliato dentro le vecchie mura; in maggioranza nei quattro storici quartieri che formano il centro della città, ma soccombente nelle periferie popolari, un tempo caratterizzate da una variegata sociabilità progressista, ma oggi abbandonate e arrabbiate, e conseguentemente sensibili al cambiamento social-securitario.

Lo schema binario che vede le élite del centro contrapposte al popolo giallo-blu delle banlieues non regge a una lettera più approfondita dei dati e delle dinamiche cittadine. In primo luogo, va problematizzata la raffigurazione del centro storico come luogo privilegiato dei ceti intellettuali e riflessivi, economicamente agiati e politically corrects. Ai numerosissimi studenti – circa la metà della popolazione dentro le mura, di cui pochissimi residenti, in un comune di meno 90.000 abitanti – si affiancano gli ex studenti che tradizionalmente cercano di insediarsi in città, ma ci riescono con crescenti difficoltà, alimentando una arcipelago di lavoratori della conoscenza transgenerazionale che dal punto di vista reddituale e della precarietà vive una condizione non troppo diversa dagli abitanti delle periferie popolari.

Inoltre, anche la città fuori le mura non si presta affatto a una descrizione monolitica. Alcuni quartieri un tempo operai e oggi elettoralmente contendibili (e contesi), come S. Giusto, situato dietro la stazione, stanno conoscendo una gentrificazione, con l'aumento di locali e b&b grazie alla vicinanza con l'aeroporto in espansione e al conseguente miglioramento dei collegamenti con il centro. Le frazioni di Riglione e Putignano, a Est della città – a lungo il maggiore bacino elettorale del Psi e del Pci (poi Pds, Ds, Pd), passate al centrodestra con circa 9-10 punti di scarto al ballottaggio –, si sono sempre più trasformate in aree residenziali in cui il nuovo paesaggio si caratterizza per la crescita delle villette a schiera. Questi segmenti urbani non sono affatto paragonabili a zone come S. Ermete, problematiche sia per la distanza dal centro sia per il rapporto marginale con i flussi economici, turistici e studenteschi.

In nessuno dei quartieri urbani, dentro le mura a favore del centrosinistra o appena fuori a favore quasi sempre del centrodestra, la forbice fra i due candidati al secondo turno è andata oltre il 10% di distacco, a testimonianza di un confronto molto combattuto. In questo quadro equilibrato, decisivo si è rivelato per l’esito finale il risultato di un’ampia frazione lontana dal centro, che storicamente si percepisce come separata, esprimendo sentimenti  “autonomistici” uniti a un orientamento tradizionalmente conservatore. Nel litorale pisano, comprendente La Vettola, S. Piero a Grado, Marina di Pisa e Tirrenia, si è verificato infatti un autentico sfondamento da parte del candidato neoleghista, e il divario è stato abissale oscillando fra i 25 e i 30 punti percentuali. Località residenziale per eccellenza, il litorale è il luogo delle seconde case dei negozianti e dei professionisti, dei balneari radicati sulla costa e delle attività commerciali ad essi collegate, di ville e villette abitate da un ceto medio composto da famiglie borghesi trasferitesi dal centro urbano, nonché da ufficiali e sottoufficiali delle diverse caserme cittadine: tutte componenti piuttosto benestanti del quadro sociale pisano, preoccupate della crisi più che realmente aggredite da essa.

La parziale erosione del voto rosso e popolare in alcuni sobborghi, prevalentemente in senso passivo e di protesta in nome del «prima i pisani», si è saldata dunque con l’attivismo di queste categorie che si sono rivelate il pivot della campagna elettorale del centrodestra. Esemplificativo è stato l'atteggiamento della Confcommercio che, suscitando polemiche, alla vigilia del voto ha invitato il ministro dell’Interno Salvini a una cena all’aperto sul ponte di Mezzo finanziata dalla Regione. L'avvicinamento al centrodestra a guida leghista ha coinvolto anche ampie porzioni della Confesercenti, e il mondo del lavoro autonomo radunato attorno alla Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa (Cna), che in particolare nelle regioni rosse sono stati tradizionalmente veicolo di voti per il centrosinistra. Un flusso di consensi da parte di queste categorie economiche, soprattutto in nome della lotta al degrado urbano imputato ai precedenti governi municipali, è pertanto confluito a destra più di quanto non sia mai accaduto in passato. In elezioni così equilibrate lo spostamento è risultato decisivo, configurando una saldatura politica tutt’altro che schematica e dicotomica fra centro e periferie, benestanti e menu peuple, ceti sociali risparmiati o colpiti dalla decennale crisi economica, riconosciutisi in un orizzonte securitario e neocomunitario, attraversato da nostalgie e rimpianti per una – immaginata – Pisa ordinata e perduta, che difficilmente un cambio di amministrazione potrà trasformare in realtà. 

 

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