Macron, un anno dopo. Anche se il paesaggio politico europeo è profondamente cambiato nell’ultimo decennio, dei 28 partecipanti all’ultimo Consiglio europeo di marzo 2018, solo due rappresentano partiti nati dopo il 2008:Alex Tsipras di Syriza e Emmanuel Macron di La République en Marche. Come ha fatto Macron a vincere le elezioni nel 2017, che cosa ha realizzato in dodici mesi e quale valore ha il suo esperimento per l’Italia?

Come si ricorderà, la vittoria di Macron ha beneficiato di un concorso di circostanze eccezionali: il discredito che circondava i suoi due predecessori (Nicolas Sarkozy e François Hollande), la designazione di François Fillon a candidato del centrodestra, a scapito di Alain Juppé, e la successiva discesa agli inferi dell’ex primo ministro di Sarkozy. Le presidenziali che dovevano segnare la consacrazione di Marine Le Pen ne hanno invece profondamente intaccato l’immagine, tanto da lasciare in eredità un Front National in crisi, malgrado 10,6 milioni di voti al secondo turno (il doppio di quelli raccolti dal padre nel 2002). A quel punto è stato anche troppo facile per La République en Marche ottenere 308 seggi su 557 all’Assemblée Nationale (cui vanno aggiunti 60 tra Modem e Udi) con soli 6,4 milioni di voti al primo turno, pari a 13% degli iscritti.

Con questa maggioranza super-blindata, il presidente e il suo primo ministro Edouard Philippe hanno potuto lanciare un ambizioso programma di riforme economiche. Le misure faro sono state la riduzione dell’imposta sui redditi delle società, l’abolizione della tassa d’abitazione, la sostituzione della patrimoniale sulle grandi fortune con un’imposta sulle rendite immobiliari e la flat tax al 30% sui redditi finanziari, l’ulteriore liberalizzazione del mercato del lavoro, la ristrutturazione dell’assicurazione contro la disoccupazione e della formazione professionale, l’apertura alla concorrenza del trasporto ferroviario e la fine dello statuto speciale degli cheminots. Senza dimenticare gli altri provvedimenti di natura politica e sociale: riduzione del costo della politica, legge contro il terrorismo, interventi su scuola, giustizia e sanità.

Ricordare le circostanze uniche del 2017 è fondamentale per contestualizzare l’azione del giovane presidente, ma non equivale ovviamente a minimizzare la figura di Macron e la sua determinazione a realizzare una missione storica: “riparare” la Francia per riportarla su un piano di parità con la Germania e ridarle il ruolo (viene da pensare, il destino manifesto) di motore del progetto europeo. Al di là del fatto che, quasi per definizione, in ogni leader politico si ritrova una grande dose di narcisismo e predestinazione, non può non sorprendere con quanta convinzione Macron abbia considerato che il suo percorso professionale tipico dell’élite transalpinalo qualificasse per giocare una partita come la corsa all’Eliseo, che nessuno aveva mai vinto senza precedente esperienza elettorale e senza partito alle spalle. La costruzione dell’uomo politico Macron non è passata solo da una strategia sofisticata di comunicazione, ma anche da una riflessione profonda sulla politica, intesa come politics non meno che come policies.

Così come la fulminante carriera politica di Macron si era nutrita della critica all’immobilismo dei governi precedenti, il primo anno del presidente “Jupiter” è stato vissuto nel segno dell’azione, giocando qualche volta sul filo sottile delle prassi della Quinta Repubblica (in particolare il frequente ricorso alle ordonnances per legiferare senza sottoporsi al dibattito in Parlamento). Macron ha fatto espresso divieto ai suoi ministri di intervenire pubblicamente su temi che non siano di loro rispettiva competenza e ha rinunciato allo spirito nuovo (dialogo attraverso i social media, partecipazione dei cittadini) che En Marche! aveva impersonificato in campagna presidenziale. La République en Marche non brilla certo per la qualità della sua democrazia interna, quanto piuttosto per lo stretto controllo che il suo fondatore esercita sui suoi parlamentari attraverso il segretario generale Christophe Castaner (che è anche sottosegretario per i rapporti col Parlamento).

Nelle elezioni che si sono tenute da settembre 2017 (per il Senato, in Corsica e in alcuni collegi con vicende particolari) La République en Marche non ha ottenuto risultati molto lusinghieri, a ulteriore dimostrazione del carattere eccezionale degli scrutini di metà anno. Nondimeno, l’opinione pubblica sembra dare ancora relativa fiducia alla bulimia riformista di Macron. Dove invece si assiste a una frattura tra Macron e opinione pubblica è nella percezione del suo orientamento politico. Dopo aver conquistato l’Eliseo come il candidato “né di destra, né di sinistra”, ma anche “di sinistra e di destra”, ora sullo scacchiere politico viene piazzato molto più spesso a centrodestra, e persino a destra, che al centro o al centrosinistra.

Con la revisione della Costituzione (il venticinquesimo “ritocco” dal 1962), Macron si attacca ora a un nuovo cantiere, quello dell’architettura istituzionale e delle regole elettorali. Le misure simbolicamente più forti sono la riduzione del 30% del numero dei parlamentari, una dose di proporzionale del 15% e la limitazione a tre mandati. Ma soprattutto le proposte avanzate ad aprile puntano a facilitare l’azione dell’esecutivo di fronte al Parlamento.

Resta l’Europa e il suo rilancio dopo la lunga stagione di Manuel Barroso e Jean-Claude Juncker, quasi 15 anni in cui la Commissione ha progressivamente perso autorevolezza e capacità progettuale, limitandosi sostanzialmente a validare le misure decise da Berlino e (progressivamente meno) Parigi. Rilanciare il progetto europeo è il cantiere fondamentale per lasciare una vera eredità del quinquennio e su di esso Macron ha pronunciato tre discorsi programmatici, alla Sorbona, all’Acropoli e al Parlamento di Strasburgo. Se rimangono costanti lo slogan dell’Europa che protegge, soprattutto dalla globalizzazione commerciale ma anche dai flussi migratori incontrollati, e il richiamo alla complementarietà tra rafforzamento dell’europeismo e tutela della sovranità nazionale, le ambizioni sembrano ridursi. Passata infatti la vacatio di potere a Berlino, pressoché tutte le proposte di Macron per l’Eurozona hanno iniziato a incontrare resistenze che da forti stanno rapidamente diventando insormontabili. Senza dimenticare che al Parlamento europeo i popolari hanno bocciato l’ambizioso suggerimento, sempre di Macron, di eleggere su base pan-europea i sostituti dei deputati britannici. Se è troppo presto, probabilmente, per parlare di un fallimento delle ambizioni europee, non si può non constatare come persista in Germania la perplessità sulla capacità della Francia di colmare il gap di crescita e competitività che si è andato scavando negli ultimi anni.

Certamente Macron non è stato favorito neanche dai risultati elettorali italiani e dalle conseguenze molto visibili sul piano dell’instabilità politica, che preoccupano i tedeschi e aumentano il loro scetticismo sull’opportunità di approfondire e allargare il processo d’integrazione. Macron non ha verso il nostro Paese un’affezione particolare e si è ripetutamente comportato in maniera abbastanza ostile. Il che non gli ha impedito di lanciare l’idea di un trattato per istituzionalizzare la cooperazione franco-italiana e di testimoniare la sua stima verso Paolo Gentiloni.

Il presidente francese ne è consapevole: Roma deve rimanere un partner imprescindibile per Parigi, che altrimenti rischia di trovarsi isolata di fronte a Berlino e alle ancora più scettiche capitali della nuova Lega anseatica. Non a caso per le elezioni europee del 2019 è in Italia che, insieme alla Spagna, conta di presentare liste sul modello di En Marche!, senza però aver trovato il partner naturale. Sia il Movimento 5 Stelle, per la sua valenza di rottura rispetto ai partiti tradizionali, sia il Partito democratico, per i suoi programmi, guardano con interesse oltralpe, ma ciascuno ha tare – rispettivamente le ambiguità sull’Europa e lo scarso appeal popolare – che potrebbero stroncare sul nascere ogni velleità di collaborazione.

A un anno dalla sua ascesa, insomma, il macronismo rimane un oggetto politico dai tratti (consapevolmente) incerti. La natura e il ritmo dei provvedimenti suggeriscono un’agenda liberale, temperata però da una retorica e narrazione in cui fanno capolino abbondanti principi di solidarietà. In ogni caso non si può non riconoscere a Macron l’impegno riformista, anche su scala europea. Nell’interesse della Francia, certo, ma nella consapevolezza che esso coincide con il rafforzamento del vecchio continente.

 

:: per ricevere tutti gli aggiornamenti settimanali della rivista il Mulino è sufficiente iscriversi alla newsletter :: QUI