Non c’è dubbio che le elezioni del 4 marzo siano destinate a entrare nei libri di storia. Quali movimenti di voto hanno determinato gli sconvolgimenti avvenuti nelle urne?

In occasioni come questa, lo studio dei flussi elettorali riveste una funzione particolarmente importante. All’Istituto Cattaneo abbiamo stimato gli spostamenti di voto rispetto alle elezioni del 2013 attraverso un modello statistico noto come modello di Goodman, sottoponendo ad analisi i risultati di numerose città (nel caso dei centri più grandi, il livello di analisi è stato subcomunale, ossia i collegi elettorali). Non è questa la sede per entrare nei dettagli metodologici della procedura e nemmeno per elencare percentuali. Più utile individuare le tendenze principali che sono emerse dall’analisi.

In primo luogo, queste elezioni hanno uno sconfitto: il Pd. Le stime dei flussi ci dicono che il partito di Renzi ha perso voti in numerose direzioni. Il M5S ne è stato il principale beneficiario: il partito fondato da Grillo continua insomma la sua opera di erosione su questo elettorato. Opera iniziata diversi anni fa e che in questa occasione si è fatta particolarmente incisiva. Non vi è dubbio che una parte di elettori che si ritiene “di sinistra” abbia visto nel M5S una sinistra “più vera” dello stesso Pd. Quanto questa percezione corrisponda alla realtà effettiva del partito di Di Maio è materia controversa. Qui possiamo notare che, come è stato evidenziato da diversi studi (cfr., ad esempio, R. Vignati, Beppe Grillo, dalla tv ai palasport, dal blog al Movimento, in Il partito di Grillo) nella sua fase nascente il M5S ha attinto soprattutto dal repertorio della sinistra (soprattutto di quella “postmaterialista”: ambientalismo, consumerismo, partecipazione) le proprie idee e i propri slogan. A questi si è poi aggiunto il tema del reddito di cittadinanza che, rivolgendosi soprattutto a settori sociali che più hanno subito i morsi della crisi economica, sfida la sinistra anche sul piano delle rivendicazioni e delle promesse “materiali”. Inoltre, a partire da Tangentopoli e poi negli anni dell’opposizione a Berlusconi, la legalità è diventata parola d’ordine caratterizzante per la sinistra italiana: da questo punto di vista l’“onestà” rivendicata dal M5S è uno slogan che può risultare attrattivo nei confronti di una parte significativa dell’elettorato di questa parte politica. La difesa della Costituzione (la campagna referendaria del 2016 è stata decisiva) è un altro tema su cui il M5S ha utilizzato retoriche e argomenti che andavano a pescare nel repertorio tradizionale della sinistra, proprio contro il “nuovismo” e la volontà di cambiamento istituzionale promossa dal leader del Pd Matteo Renzi.

La capacità di far leva su questi temi spiega perché la formazione di Casaleggio sia riuscita a porsi come concorrente del Pd, sfidando sul suo terreno un leader come Renzi che, su molte questioni (rinnovamento delle istituzioni, economia e lavoro, ecc.) ha invece assunto posizioni di rottura con la tradizione di sinistra.

L’analisi dei flussi sottolinea il momento di crisi del Pd, evidenziando come non sia solo il M5S ad avvantaggiarsi delle sue perdite: anche l’astensione e la Lega ne traggono beneficio. Per quel che riguarda la prima, già negli anni scorsi, le elezioni comunali avevano iniziato a mostrare che l’astensione colpiva sempre di più il centrosinistra, e questo era indicativo di un crescente disorientamento del suo elettorato. Oggi l’astensione arriva a colpire in modo significativo il Pd non più solo in elezioni di second’ordine ma anche in un’elezione politica.

Per quel che riguarda il flussi che vanno dal Pd alla Lega, la capacità di quest’ultima di erodere l’elettorato di centrosinistra è una sostanziale novità. Questo sembra indicare che i temi del controllo dell’immigrazione, e più in generale del “law & order”, tradizionale patrimonio dell’elettorato di centrodestra, sono diventati temi che suscitano l’attenzione e le preoccupazioni anche dell’elettorato di sinistra, che in parte si lascia oggi attrarre da chi – come la Lega salviniana – ha posto questi temi al centro dell’agenda politica.

Il M5S, come si è detto, conquista voti dal Pd (e, in misura minore, da quello che cinque anni fa era il Pdl) ma, nelle città del Centro Nord, ne perde a vantaggio della Lega. Questa dinamica, che osserviamo in tutte le città studiate, è molto interessante. Ci mostra il M5S al centro di tensioni che lo spingono contemporaneamente a sinistra (per svuotare il bacino del Pd) e a destra (per non subire la concorrenza della Lega). In precedenti studi sulle elezioni comunali – notando come spesso al primo turno il M5S rubasse voti al Pd e poi, al ballottaggio, nel caso il candidato grillino fosse assente, si riversasse in maggioranza sul candidato di centrodestra – avevamo parlato del M5S come “traghettatore” di voti dal centrosinistra al centrodestra. Possiamo forse rispolverare questa definizione anche per descrivere sinteticamente questo doppio flusso di cui il M5S è oggi protagonista, con elettori in entrata dal Pd e altri in uscita verso la Lega (questo secondo flusso è, in genere ma non sempre, di entità un po’ più contenuta del primo).

Nel centrodestra si assiste a un rimescolamento delle carte che vede quote rilevanti di elettori spostarsi dal partito berlusconiano (il Pdl nel 2013) verso la Lega e, in misura minore, verso Fratelli d’Italia. Il partito di Berlusconi (oggi FI) è in un momento di debolezza – speculare a quello del Pd –di cui sono indicative le perdite subite in varie direzioni: astensione, spesso M5S, talvolta anche Pd.

Tornando al Pd, oltre alle perdite già segnalate, va ricordata anche quella subita a favore dei fuoriusciti di Liberi e uguali. L’unico canale che invece si è immesso nel bacino del Pd è costituito dall’elettorato che nel 2013 scelse la coalizione montiana. Non è una novità: fin dalle elezioni europee del 2014 avevamo osservato che questo elettorato si era svuotato a vantaggio del Pd renziano. A quell’epoca, il Pd aveva avuto questo nuovo apporto riuscendo a mantenere l’elettorato più tradizionale (da qui il famoso 40% che costituì il picco dei consensi renziani). Dal 2014 a oggi la componente “tradizionale” dell’elettorato Pd ha subito costanti erosioni ad opera del M5S e oggi di Leu, i quali in modo diverso (il reddito di cittadinanza in un caso, l’antifascismo e il recupero dei valori tradizionali del lavoro e del welfare nell’altro) utilizzano temi che attraggono e convincono il “popolo di sinistra”. In conseguenza di questi flussi (immissione di ex-montiani, uscita di elettori “tradizionali” di sinistra) l’elettorato Pd si è ridotto in termini quantitativi e la sua composizione è mutata in termini qualitativi.

Per concludere, le dinamiche che coinvolgono il M5S appaiono diverse al Nord (compresa quella che tradizionalmente si chiamava “Zona Rossa”) e al Sud. Al Nord, come abbiamo detto, conquista voti dal Pd e ne cede una parte alla Lega. Per questo lo definivamo “traghettatore”. Per il Sud invece l’etichetta che possiamo scegliere è quella di “pigliatutti”: nei collegi del Sud che abbiamo analizzato il M5S, che non deve fronteggiare la concorrenza della Lega (in questa parte d’Italia molto meno forte), riesce a conquistare voti a 360° gradi, prendendoli non solo al Pd ma anche ai partiti di centrodestra e anche dall’astensione, senza subire perdite significative.

 

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