Un'inversione a destra collettiva? Chiamato al voto lo scorso 17 dicembre per il secondo turno delle elezioni presidenziali, il popolo cileno ha eletto il candidato del partito conservatore Chile Vamos, Sebastián Piñera. Guidato negli ultimi quattro anni dalla socialista Michelle Bachelet, il Cile ha dunque intrapreso una chiara svolta a destra, prediligendo il milionario imprenditore ad Alejandro Guiller, leader della coalizione di centrosinistra Nueva Mayoria. Guiller era rimasto l’unico in corsa contro Piñera dopo che al primo turno, il 19 novembre, erano rimasti esclusi gli altri sei candidati. Tra questi era emersa in particolare Beatriz Sanchez, che negli ultimi mesi aveva scalato gli indici di gradimento arrivando ad aggiudicarsi poi un importante 20,3%. Risultato notevole per la leader della nuovissima coalizione di sinistra Frente Amplio, ma non sufficiente se confrontato con quelli ottenuti da Piñera (36,6%) e Guiller (22,7%). Eliminata dai giochi, Sanchez ha poi dichiarato pubblicamente il suo appoggio a Guiller, già supportato dalla presidente uscente Bachelet, la quale aveva però perso progressivamente consensi a partire dal 2015, quando un grosso caso di corruzione e frode fiscale aveva investito, tra gli altri, sua nuora.

Per Piñera questa non sarà la prima esperienza alla guida del Paese. L’attuale neo presidente era già stato eletto nel 2010, interrompendo allora due decenni di governo di centrosinistra. Prima di iniziare la carriera politica, Piñera - il cui patrimonio è oggi di 2,7 milioni di dollari, secondo i dati Forbes - possedeva il 100% del canale terrestre Chilevisión, il 27% della linea aerea Lan e il 13% della squadra di calcio Colo-Colo. Di fede cattolica e convinto oppositore della recente legalizzazione dell’aborto promossa dal governo Bachelet, Piñera ha basato la sua campagna elettorale sulla promessa di una crescita economica sfruttando il successo del suo primo mandato, quando l’aumento del prezzo del rame aveva aiutato la crescita di un 5,4% annuo. Piñera è inoltre un convinto sostenitore del modello liberista che ha visto la progressiva privatizzazione dei più influenti settori economici del Cile, riuscendo con ciò ad aggiudicarsi l’appoggio dal mondo imprenditoriale cileno, che controlla oggi la maggior parte delle risorse e dei servizi del Paese.

Le recenti elezioni presidenziali in Cile confermano la generale tendenza di molti Paesi latinoamericani ad abbandonare governi di centrosinistra e prediligere una leadership conservatrice. Se dieci anni fa Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Cuba, Ecuador, Honduras, Nicaragua, Uruguay e Venezuela erano guidati da partiti di sinistra, la crisi globale e la conseguente incertezza economica hanno spaventato l’intera regione latinoamericana, che stava vivendo allora un momento di forte crescita. Come ha sottolineato la presidente del partito brasiliano di sinistra che un anno fa ha perso il governo del Paese, “l’eco della crisi mondiale è stato poi sfruttato da molti leader di destra per accusare la sinistra di irresponsabilità finanziaria”. Secondo Daniel Zovatto, direttore per l’America Latina e i Caraibi dell’Institute for Democracy and Electoral Assistance, il cambio di rotta che ha investito l’America Latina ha avuto una prima importante conferma con l’elezione nel 2015 di Mauricio Macri in Argentina e con quella, avvenuta un anno dopo, di Pedro Pablo Kuczynski in Perù.

Un ruolo importante nell’ultimo periodo è stato giocato dalla crisi economico-sociale venezuelana, che ha sollevato paure e timori in tutta l’area del cono Sud. Emblematica, da questo punto di vista, la campagna elettorale cilena, dove è stato paventato il rischio, in caso di vittoria della sinistra, di far entrare il Paese in una crisi analoga a quella del vicino Venezuela. Rappresentata dall’inequivocabile slogan “Chilezuela”, questa campagna si è diffusa soprattutto in Rete e ha giocato sulle presunte analogie tra l’oppositore di Piñera, Alejandro Guiller, e il leader socialista della collassata economia venezuelana, Nicolás Maduro. Secondo l’agenzia Bloomberg, che ha analizzato le ragioni e le conseguenze di questa campagna del terrore, la crisi venezuelana sarebbe stata utilizzata anche in altri Paesi latinoamericani con lo scopo di boicottare i governi di sinistra, mentre secondo Cristobal Bellolio - professore della Scuola di governo dell’Università cilena Adolfo Ibáñez - la campagna avrebbe presentato la situazione cilena come una emergenza politica “sfruttando argomenti irrazionali che hanno generato però autentiche preoccupazioni nell’elettorato”. I sospetti degli esponenti della coalizione di centrosinistra lasciano intendere un coinvolgimento di Piñera quantomeno nello sfruttamento di questo irrazionale paragone. Sospetti più che confermati se si considera che in una dichiarazione rilasciata poco prima del primo turno elettorale il neo presidente ha affermato: “Guiller assomiglia ogni giorno di più a Maduro. Mi chiedo dove ci porterà questo cammino”.

Per capire se l’inversione a destra dell’America Latina rappresenta davvero un fenomeno collettivo che merita di essere analizzato e compreso nel suo insieme, però, dobbiamo ancora aspettare il ciclo elettorale 2018-2019, quando andranno alle elezioni anche Paraguay, Colombia, Bolivia, Brasile, Venezuela, Argentina e Uruguay.

 

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