Non so se facesse la sua passeggiata quotidiana anche prima; prima che gli venisse un infarto e che il medico gli vietasse di andare a Parigi, come faceva regolarmente ogni due mesi. La passeggiata lungo via Caracciolo doveva farla perché il cuore ne traeva giovamento, ma forse era anche un modo per mimare il suo allontanamento da casa e il successivo ritorno in uno spazio e in un tempo diversi, quasi una miniatura, rispetto a quelli cui era abituato nella sua pratica dell’andirivieni. Parlo di Gustaw Herling, di quell’uomo alto e di corporatura massiccia che ogni mattina puntualmente attraversava a piedi alcune strade napoletane. Da via Crispi, oltrepassata piazza Amedeo, veniva giù per via dei Mille fino a piazza dei Martiri; da li, tagliata in due piazza Vittoria, scendeva fin quasi al mare e tornava indietro percorrendo via Caracciolo in senso contrario allo scorrere delle automobili, fino a raggiungere Mergellina, dove al capolinea c’era un autobus che l’avrebbe riportato a casa. M’immagino che a volte, al centro esatto della vasta baia, si fermasse dimenticando per un attimo il suo rimuginìo continuo. Per poi affrettare il passo, quando gli tornava in mente qualche avvenimento politico che lo turbava.

Era un gran conoscitore di storia napoletana; si appassionava soprattutto alle cronache, come quelle seicentesche riguardanti Masaniello. Aveva scritto Il miracolo (1984), un racconto tutto di ambientazione partenopea, e i polacchi, che in quegli anni potevano leggerlo solo clandestinamente, l’avevano interpretato come un’allegoria di Wałęsa, il protagonista di Solidarność.

Gustavo – come lo chiamavano gli amici italiani – era nato a Kielce nel 1919. E già negli anni Trenta, mentre studiava filologia polacca all’Università di Varsavia, aveva dato prova del suo talento di critico letterario. Ma lo scrivere e il leggere dovevano presto fare a pugni con i tumulti urticanti della Storia.

Dopo la sconfitta della Polonia, nel ’39 – raccontò la prima volta che andai a trovarlo –, con alcuni amici abbiamo subito creato un’organizzazione clandestina: io sarei dovuto andare all’estero, perché, all’estero, esisteva già il governo polacco in esilio, in via di formazione a Parigi; avrei cosi preso contatto con loro, magari, vista la mia giovane età, arruolandomi nel nuovo esercito polacco. Invece sono stato arrestato dalla polizia sovietica mentre tentavo di passare la frontiera. Fui condannato a cinque anni: nelle prigioni e nei campi ne ho passati due, dal marzo del ’40 al gennaio del ’42.

Sono gli anni che vengono descritti in Un mondo a parte, pubblicato in traduzione inglese nel ’51 e prima testimonianza del gulag sovietico. Bertrand Russell, nella sua introduzione, scrisse che il libro ≪possiede una rara forza descrittiva, semplice e vivida, ed e assolutamente impossibile dubitare della sua sincerità in qualsiasi punto≫.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 5/17, pp. 860-865, è acquistabile qui]