A pochi giorni dalla scadenza della nomina del governatore della Banca d’Italia, il Pd si accoda alla mozione dei 5 Stelle e della Lega presentandone una di censura (implicita) dell’operato della Banca con una (esplicita) richiesta di un rinnovamento delle cariche. Tutto ciò nonostante il Parlamento non sia la sede deputata alla scelta del governatore di Bankitalia. In questo caso il Parlamento è stato usato come cassa di risonanza per posizioni politiche: esattamente quello che fanno, da sempre, le opposizioni. Solo che qui lo ha fatto il partito di maggioranza. Evidentemente il Pd non si sente rappresentato dal “proprio” governo. E infatti per distinguersi dallo stile serio e dialogico del presidente Gentiloni, la leadership democratica cavalca una classica linea politica populista alla ricerca del capro espiatorio per distogliere l’attenzione dalle responsabilità del governo precedente (guidato da Matteo Renzi) e dall’intreccio di conflitti di interessi che attraversano e vincolano la classe dirigente del Pd.

La sgangherata mozione anti-Visco mette in luce anche un altro aspetto deleterio che connota da qualche tempo i democratici: il fastidio per persone autonome ed estranee ai vari gigli magici

La sgangherata mozione anti-Visco mette in luce anche un altro aspetto deleterio che connota da qualche tempo i democratici: il fastidio per persone autonome ed estranee ai vari gigli magici. Risulta evidentemente insopportabile che una personalità non solo di competenza e qualità intellettuale riconosciute internazionalmente ma di rigore morale inattaccabile possa guidare una istituzione così importante che si permette pure di mettere sotto accusa “affari di famiglia” (vedi caso Etruria-Boschi). Non per nulla per tutelare questi interessi il Pd ha avuto l’impudenza di nominare nella commissione parlamentare di inchiesta sulle banche il tesoriere del partito Francesco Bonifazi, titolare di uno studio legale fiorentino che condivide con altri due partner di cui uno, guarda caso, è Emanuele Boschi, figlio del vicepresidente di Banca Etruria ed ex dipendente della medesima banca. Un clamoroso conflitto di interessi segno del degrado dell’etica politica anche all’interno di un partito che si autoproclama baluardo contro i populismi. Se è con questi comportamenti che dovremmo essere difesi dall’anti-politica grillina, non ci siamo proprio. Quando non si esita a scardinare logiche istituzionali, e ci si mette sulla scia dell’andreottismo di fine anni Settanta – quando vennero portati attacchi all’arma bianca contro una Banca d’Italia anche allora rigorosa e indisponibile a salvare gli amici (cioè il bancarottiere Sindona) – si segue una deriva pericolosa. E chi ha a cuore le istituzioni, il rispetto delle regole, le buone pratiche, e soprattutto, considera l’onestà, il rigore e l’imparzialità, qualità tutte dimostrate dai vertici di Bankitalia in questi anni difficili, deve fare barriera al debordare delle tentazioni populiste anche a sinistra.