Esiste ancora una «città europea», ossia una città la cui organizzazione sociale e politica rifletta, non solo idealmente ma nella pratica, il modello di integrazione sociale e di crescita economica tipico dell’Europa occidentale? Come hanno reagito le città europee alla crisi economico-finanziaria, allo sviluppo conseguente delle politiche di austerity, all’indebolimento del modello di integrazione europea, nonché all’aumento recente delle disuguaglianze sociali e della segregazione etnica? Che ne è della loro tradizionale resilienza, fondata sulla capacità di coniugare in modo sinergico competitività economica e integrazione sociale?

Le città europee sono storicamente caratterizzate da una forte associazione tra integrazione sociale e competitività economica. In queste città i livelli di disuguaglianza sociale e di segregazione spaziale sono generalmente molto inferiori rispetto a quelli riscontrabili in città di dimensioni simili e con analogo potenziale economico situate in altri continenti, incluse le città americane. In molte città europee, infatti, la realizzazione di significative performance economiche è stata spesso accompagnata dalla ricerca dell’equità e dell’integrazione socio-spaziale, a partire dall’idea che competitività economica e coesione sociale debbano essere considerate e trattate come aspetti interdipendenti. Sono diversi i fattori che hanno contribuito a questo esito. Qui ci limitiamo a richiamare i due principali.

Da un lato, hanno contato l’intervento del Welfare State e l’attivismo dei governi locali volto a soddisfare le esigenze prioritarie della popolazione locale. Dall’altro, la struttura occupazionale delle città europee ha visto il ruolo dominante della classe media, concedendo quindi meno spazio ai processi di polarizzazione sociale altrove ben più visibili. Il modello della «città europea» viene dunque essenzialmente collegato a bassi livelli di disuguaglianza nella distribuzione del reddito pur a fronte di notevoli performance economiche. Questo modello è oggi sotto forte pressione a causa dell’impatto della crisi attuale e delle politiche di austerità.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 3/17, pp. 377-385, è acquistabile qui]