A circa due ore di treno da Berlino, vi è Wolfenbüttel, una cittadina con poco più di 50.000 abitanti, come Rovigo o Rieti, ma con milioni di libri, incunaboli, manoscritti, preziose mappe architettoniche e geografiche. Tutto cominciò quando il principe Augusto II (1575-1666), salì, quasi per caso, nel 1635, sul trono del Ducato di Braunschweig-Wolfenbüttel. Erano tempi oscuri per la Germania in piena Guerra dei Trent’Anni, sicché il non più giovane principe attese fino al 1644 in un castello a studiare alchimia, lontano dalla piccola capitale, dove giunse finalmente a 69 anni. Appassionato bibliomane, arrivò nella residenza con 250 quintali di libri, che aveva acquistato uno per uno e catalogato con un sistema ingegnoso. Da allora la biblioteca - che da lui prese il nome di «Augusta» - divenne una delle principali d’Europa e contò direttori d’eccezione, tra cui Leibniz e Lessing. Nel 1710 venne costruito il primo grande edificio «laico» destinato alla biblioteca, che è ancora oggi, con la Vaticana, una delle più prestigiose del mondo. Attualmente è un centro fondamentale per lo studio del medio evo e del rinascimento, sostenuto lautamente dalla Germania. Quando si arriva, si scopre che la stazione è stata adibita - tanto per cambiare - a biblioteca comunale. Per oltrepassare i binari occorre traversare il passaggio a livello (non esiste un sottopassaggio), mentre per i biglietti c’è un pulmino per qualche ora al giorno. Insomma un idilliaco paesino tedesco, tutto lindo e pinto, con molto verde, molte biciclette, molte case a graticcio che determinano il suo aspetto signorile, nonché la bella residenza barocca, un paio di chiese tardogotiche. Sarebbe un luogo come tanti altri in Germania, senonché improvvisamente v’imbattete in un elegante e maestoso edificio: è la Biblioteca Augusta, accanto ad essa vi è un’altra imponente costruzione, circondata da un prato con qualche cannone secentesco: è l’Arsenale, che ospita, nei suoi tre piani, la parte «moderna» della biblioteca con i libri stampati dall’800 a oggi: anche i libri sono armi e possono colpire. Per giorni ho lavorato (sfogliando libri antichi) nella sala principale. Spesso eravamo solo in due. Incuriosito ho scoperto che l’altra utente è pure un’italiana, di Lucca, che ha appena pubblicato un corposo volume sui fondi cinquecenteschi della biblioteca. Qui è incardinata (e non è l’unica italiana) come ricercatrice e non in Italia, malgrado abbia conseguito l’abilitazione alla cattedra universitaria. Ho provato un sentimento di orgoglio pensando che due italiani studiano e lavorano in uno dei santuari della cultura occidentale: un pensionato e una giovane ricercatrice. Non tutto è perduto per gli italiani…ma all’estero. E ciò avviene in questo paesino senza nemmeno la stazione, ma con una straordinaria biblioteca, che ci accoglie generosamente, mentre il nostro paese (da cui provengono quasi il 40% dei manoscritti e degli incunaboli qui raccolti) non pensa a sostenere e promuovere i centri culturali. I musei e soprattutto le biblioteche versano in condizioni pietose. Fra poco con l’estate (che arriva anche qui, ma non si chiude mai) la biblioteca della mia ex-università a Roma chiude per risparmiare l’energia elettrica per l’aria condizionata!
La situazione delle altre biblioteche (quando ci sono) soprattutto da Roma in giù è disastrosa. Qui, oltre al personale di ruolo, collaborano con modeste borse di studio studenti o, con rimborso spese, pensionati e tutto funziona al meglio. Da noi sarebbe impossibile tra sindacati, vigili del fuoco, asl e così via: pur di chiudere tutti uniti in una mortificante Santa Alleanza. Le biblioteche di Berlino, Cambridge, Parigi, Madrid, Coimbra, Cracovia o Stoccolma d’estate sono piene di studiosi stranieri e gli italiani sono presenti numerosissimi, a causa della «miseria» delle nostre istituzioni: le nostre biblioteche chiudono in agosto per il cosiddetto «spolvero», un vergognoso alibi burocratico inventato pur di chiudere. Ma intanto chi controlla, chi ci difende? E dire che disponiamo ancora tra i fondi librari principali del mondo (e talvolta di eccellenti bibliotecari, mai sostenuti dalla burocrazia)! Vendiamoli a Wolfenbüttel o a Oxford, almeno saranno ben costuditi, studiati, amati e rispettati e non saccheggiati come avvenne per i preziosi volumi della Biblioteca dei Girolamini di Napoli, o chiusi in scatoloni come i libri raccolti, sempre a Napoli, dall’avvocato Gerardo Marotta! E non avrei mai pensato di giungere a scrivere ciò.
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