Le primarie del Pd che si svolgeranno domenica prossima, 30 aprile, lasciano spazio a un solo interrogativo, che riguarda l'affluenza. Anche nelle precedenti occasioni, il vincitore era infatti ben noto prima del loro svolgimento, sia per la scelta del candidato di coalizione sia del segretario del partito: la vittoria di Prodi nel 2005, poi quella di Veltroni nel 2007 e infine quelle di Renzi, nel 2013 e nelle primarie odierne, non sono mai state realmente in discussione. Le uniche che potevano riservare qualche sorpresa hanno ruotato intorno alla candidatura di Bersani; nel 2009, contro Franceschini, e nel 2012, contro lo stesso Renzi, il suo successo – pur se prevedibile – non era poi così scontato.

Il dato sull'affluenza, viceversa, è stato spesso un'incognita, ed è un dato per certi versi rilevante, perché è proprio dal livello di partecipazione che si può desumere lo stato di salute del partito o della coalizione che promuove la consultazione. Il trend dell'affluenza, per la verità, in questi dieci anni, è costantemente in calo: per limitarci alle sole primarie Pd, a partire da quelle di Veltroni (3 milioni e mezzo), in ogni occasione i partecipanti sono diminuiti di circa 300-400mila rispetto alle precedenti.

Le primarie odierne non faranno certo eccezione, anzi, le previsioni più accreditate ci parlano di un calo di oltre un milione di votanti rispetto a quelle in cui Renzi batté Cuperlo e Civati, nel 2013, dove andarono al voto 2 milioni e 800 mila elettori. Quali le ragioni di questo calo così ingente? Sostanzialmente due. La prima riguarda soprattutto il clima di opinione del Paese, che quattro anni orsono era reduce da un risultato elettorale, quello delle politiche, caratterizzato da un sostanziale vuoto legislativo; l'ex sindaco di Firenze rappresentava in quel momento una decisa speranza che le cose potessero prendere una direzione positiva e, soprattutto, che si arrivasse in tempi brevi a quelle importanti riforme economico-istituzionali sempre annunciate ma mai attuate. La seconda ragione è la diretta conseguenza della prima: le speranze e le promesse che c'erano allora, alla prova dei fatti, non sono state mantenute, per colpa di Renzi o degli altri importa poco; ma proprio questa disillusione ha fatto diminuire la voglia di partecipare a primarie che ratificheranno una segreteria che sarà di fatto il prosieguo della precedente. Non proprio una "minestra riscaldata", ma certo non una decisa novità della quale appassionarsi, com'era stato invece nella precedente occasione. Da qui il forte calo preventivato.

I risultati, infine, non saranno sorprendenti, come ci raccontano i sondaggi pre-elettorali. Renzi dovrebbe vincere con una quota di consensi compresa tra il 65 e il 70%, Orlando supererà il 20% ed Emiliano tenterà di avvicinarsi al 15%, penalizzato oltretutto dalla sua assenza in Liguria e Lombardia. Valori come si vede molto simili a quanto accadde nel 2013, così come le caratteristiche dei contendenti che, per certi versi, somigliano a quelli di allora: Orlando è in qualche modo il "sostituto" di Cuperlo, appartenendo al mainstream degli ex Ds, mentre Emiliano è una figura assimilabile a quella di Civati, un outsider più "movimentista".

L'elettorato di Renzi si identifica maggiormente con il centrosinistra (per oltre il 70%), con due ali (a sinistra e al centro) pressoché simili, mentre quello di Orlando è più marcato alla sinistra dello schieramento, così come quello di Emiliano, i cui sostenitori sono però molto "frastagliati", con consensi provenienti anche da aree di centro/centrodestra, di natura più chiaramente territoriale, in particolare da Puglia, Abruzzo e Basilicata.

 

[“Questioni Primarie” è un osservatorio sulle primarie. È un progetto di Candidate & Leader Selection, realizzato grazie alla collaborazione con l’edizione online della rivista “il Mulino” e il coinvolgimento dell’Osservatorio sulla Comunicazione Pubblica e Politica dell’Università di Torino. Qui i numeri completi di “Questioni Primarie” 2017.]