Qualche giorno fa Adriana Cerretelli ha scritto sul “Sole-24ore” un bell’articolo dal titolo “Il fattore I”: “I” come Italia o come Instabilità, che poi è lo stesso. “C’è un problema italiano in Europa […] irrisolto e innegabilmente aggravato dalla prospettiva di un'instabilità politica incontrollata, che si somma a quella economico-finanziaria, dove il ritorno al proporzionale sembra fatto apposta per frantumare il quadro riportando il Paese nell’incubo dell’ingovernabilità”. Inutile illudersi che l’Europa sia pronta a venirci incontro, ad accettare ulteriori sconti su regole e disciplina: se essa “ripartirà per convogli più omogenei con i Paesi disposti ad accelerare l’integrazione, che si tratti di euro o di difesa, è evidente che gli esami di ammissione saranno severissimi”.

Le imminenti elezioni in due Paesi centrali come Francia e Germania per ora ritardano ogni decisione. Ma alla fine dell’anno (generosamente Cerretelli ci dà 24 mesi, in attesa che si concludano i negoziati sulla Brexit) Francia e Germania avranno probabilmente due governi stabili e pronti a decidere: il problema Italia, il fattore I, sarà allora un tema centrale e il rischio di emarginazione incombente. Commento: l’Italia non ha mai capito che “risanamento dei conti, modernizzazione e competitività del Paese non sono lo scotto da pagare a Bruxelles, ma scelte da compiere nell’interesse nazionale, a prescindere dalla decisione di stare o no nell’Ue”.

Mi piacerebbe che qualcuno spiegasse ai transfughi del Pd che hanno intitolato il loro movimento “Articolo 1” (“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”) come si fa a sostenere l’occupazione in un’economia di mercato se questa funziona male; se le grandi imprese sono quasi scomparse, se quelle medio-piccole ma competitive sono 4/5.000 invece delle 6/7.000 che occorrerebbero, e ben poche nel Mezzogiorno; se il settore terziario e la pubblica amministrazione non forniscono loro i servizi di cui hanno bisogno. Fuor di polemica, vorrei soprattutto sottolineare il problema politico in cui ci ha precipitato il combinato disposto della sconfitta del referendum e della decisione della Consulta: come affrontare i problemi di riforma cui allude Adriana Cerretelli in un contesto elettorale proporzionale, che inevitabilmente favorisce scissioni e piccoli partiti? Sarà mai possibile formare un governo stabile e all’altezza di quei problemi? Dire che sarà difficile, ma non impossibile, è un understatement che rasenta l’illusione. Affinché ciò avvenga dovrebbe discendere sui leader politici del nostro Paese, ora affannati a posizionarsi al meglio per le prossime elezioni, una sorta di deus ex machina, un dono dello Spirito Santo che chiamerei “fattore E”, fattore Europa: la convinzione profonda che non c’è salvezza al di fuori dell’Unione. Non siamo come la Gran Bretagna, che pure nel tempo pagherà il suo dazio, ma non era parte del sistema monetario europeo: qualsiasi minaccia di uscita dalla moneta unica, o di confinamento in un vagone a velocità ridotta, da noi produrrebbe gravi turbolenze, di cui farebbero le spese soprattutto i ceti più poveri. L’unica via d’uscita, lenta e irta di conflitti, è quella di affrontare i problemi che comunque dovremmo affrontare.

Insomma, sarebbe necessaria una santa alleanza di tutti coloro che, pur critici di molte decisioni e omissioni dell’Unione, non intendono recidere il cordone ombelicale che ad essa ci lega. Questa santa alleanza, nel contesto proporzionale in cui ci troviamo, è possibile? E sarà sufficiente? Temo che la risposta debba essere negativa per entrambe le domande. Sul lato sinistro dello schieramento è probabile che le sinistre esterne e gli scissionisti daranno non pochi problemi al Pd, costringendolo ad accentuare i suoi rilievi contro le attuali politiche di austerità e le sue resistenze nei confronti di riforme strutturali serie. E poi un’alleanza con Forza Italia, e solo in nome dell’Unione europea e delle riforme strutturali, non credo sia molto popolare in un partito che ha sempre visto in Berlusconi l’arcinemico. Sul lato destro, difficilmente Berlusconi si staccherà in modo netto da un’alleanza con la Lega e Fratelli d’Italia, una formula che garantì in passato i suoi più grandi successi. È vero che allora egli era il dominus dell’alleanza e le distanze con le altre due componenti assai minori e più facilmente gestibili (...bastava qualche concessione alla devolution di Bossi). Ma dal punto di vista delle convenienze elettorali immediate, e ben conscio di quanto poco gli elettori diano rilievo a incongruenze programmatiche anche evidenti, egli può rassegnarsi per ora a un’alleanza di cui non è più il padrone, e poi si vedrà. Quanto ai 5Stelle, con loro sono impossibili alleanze programmatiche, e in particolare una a favore dell’Unione europea.

Questa analisi succinta risponde a entrambe le domande: un’alleanza esplicita di tutte le forze europeiste e favorevoli a riforme serie è assai improbabile e, anche se fosse possibile, potrebbe non avere i numeri per governare. E l’Italia non è la Spagna, che ha potuto consentirsi il lusso di tre elezioni consecutive prima di trovare un governo stabile: ci aspetta dunque un futuro piuttosto buio. Ma in politica mai dire mai, specie quando si invoca lo Spirito Santo o un deus ex machina: chissà, forse il fattore E potrebbe fare la differenza, se in Italia trova una forza politica che sappia tradurre e rendere urgente il suo messaggio.

 

[Questo articolo è stato pubblicato sul "Corriere della Sera" del 3 marzo scorso, a p. 26]