Da oltre vent’anni ci lamentiamo della partenza di tanti bravi giovani che scelgono di insegnare all'estero non avendo, in Italia, lo spazio per esercitare il proprio talento. Del resto tutti i vincitori italiani delle prestigiose borse European Research Council (Erc) vanno a fare ricerca all'estero. Le ricorrenti denunce relative alle procedure concorsuali di certo non incentivano i giovani ricercatori a investire professionalmente nel nostro Paese.

Ma cosa tiene lontano i professori, giovani e meno giovani, dall’Italia? Sono quattro le motivazioni principali: 1) i criteri di selezione che spesso agevolano gli allievi di qualche «barone» che influenza le commissioni di concorso; 2) le norme che regolano l'abilitazione nazionale prevedono settori disciplinari che non corrispondono a quelli internazionali, oltre a generare problemi simili a quelli delle commissioni di concorso; 3) il livello del salario è inferiore a quello che si otterrebbe, a parità di posizione, in gran parte degli altri Paesi europei (per non dire degli Usa); 4) la difficoltà a muoversi da un'università a un'altra in caso uno intenda trasferirsi.

Le cattedre Natta sono state pensate per agire proprio su questi quattro problemi: 1) la commissione sarà presieduta da un professore di altissima levatura (anche qualche Nobel) preferibilmente straniero; 2) i vincitori concorreranno su settori Erc ben più noti (e ragionevoli) dei nostri settori disciplinari e verranno chiamati per chiamata diretta senza bisogno di alcuna abilitazione nazionale; 3) il salario di ingresso sarà compreso tra la quarta e la settima fascia (circa 100.000 euro lordi per un ordinario), il minimo per essere competitivo con i compensi dei professori italiani all'estero che per esempio vorrebbero oggi fuggire dalla Londra post-Brexit o dagli Stati Uniti di Trump; 4) ci sarà la possibilità di spostarsi da un'università all'altra in modo che, se uno arrivasse in Italia e non si trovasse bene nel dipartimento, potrà trasferirsi in un altro ateneo.

Questi sono i principi che hanno guidato la struttura originaria della norma sulle cattedre Natta, poi alcuni compromessi inevitabili (e forse giusti) hanno previsto la candidabilità e la mobilità dei professori già incardinati in università italiane e la nazionalità anche italiana dei presidenti di commissione.

Mario Ricciardi e Gianfranco Viesti criticano le cattedre Natta sulla base di tre argomenti che però risultano fuorvianti rispetto al merito. Il primo riguarda la forma di finanziamento. Il finanziamento è certamente aggiuntivo al Ffo che non viene variato nel suo tendenziale (come è aggiuntivo il finanziamento per i dipartimenti del merito nella legge di bilancio di quest’anno). Nell’articolo si sostiene che quei soldi sarebbero meglio spesi nell’Ffo piuttosto che nelle cattedre Natta. Usare questo argomento equivale a non capire o non voler capire che il proposito è completamente diverso: le cattedre Natta sono 500 cattedre del merito destinate a in media 20 professori di provato merito in ognuno dei 25 settori Erc. Equivale anche a negare a priori che la politica possa decidere come sia meglio destinare le risorse nel tentativo di attrarre i più meritevoli nel sistema universitario italiano.

Il secondo argomento riguarda la presunta violazione dell’autonomia universitaria. Qui si dimentica che la chiamata del professore avviene per chiamata diretta del rettore, che decide anche la fascia del salario iniziale; quindi l’autonomia del singolo ateneo è assolutamente preservata. Ricciardi e Viesti intendono forse l’autonomia del sistema universitario pensato nella sua interezza. Ma come ho cercato di spiegare sopra, è difficile attrarre professori che insegnano all’estero con le regole dei concorsi, dell’abilitazione e dei settori disciplinari vigenti, tant’è che, per lo meno fino a oggi, le regole vigenti hanno tenuto lontano chi avrebbe voluto tornare a insegnare in Italia. Se siamo a tempo si può stabilire (come si fa per le cattedre Montalcini) che i rettori fanno una preselezione ex ante dei candidati che sarebbero disposti a chiamare, concedendo loro la «sponsorizzazione» di un ateneo, ma questa sponsorizzazione non vale nulla ai fini delle procedura di selezione, i rettori poi chiamano quelli che saranno i vincitori. In questo modo l’autonomia dell’università sarebbe maggiormente valorizzata.

Infine l’ultimo argomento riguarda la mobilità dei professori. In questo caso gli autori sembrano affermare che è giusto che i professori rimangano prigionieri dei loro dipartimenti e che non possano assolutamente muoversi, a pena distruggere il sistema universitario del Sud Italia. A parte che questo argomento è fallace in generale (l’immobilità quasi assoluta dei professori italiani è una stortura grave del sistema e non un vanto), ovviamente non può essere usato per attrarre professori particolarmente meritevoli. È impensabile che professori che lavorano in atenei esteri dove la mobilità è libera, e anzi è il meccanismo principale per migliorare costantemente i sistemi universitari, si faccia incastrare in un dipartimento italiano dove non si trova bene. È giusto imporre ai vincitori delle Natta l’obbligo di rimanere in Italia per un periodo minimo di tempo, ma è assurdo imporgli l’immobilità che (a torto) si impone di fatto agli altri professori.

In conclusione, forse si poteva fare meglio, ma la domanda rimane: perché in questi ultimi vent’anni, in cui si è parlato solo di attrarre in Italia i nostri connazionali che insegnano all'estero, non si è mai fatto nulla? Prima di affossare il primo tentativo serio di aggredire un problema che per anni è stato affrontato solo a parole, bisognerebbe avere una valida alternativa. Altrimenti si presta solo il fianco a chi vuole mantenere lo status quo (gli stessi cui fa comodo solo parlare ma mai agire, spesso per paura che l'università migliori davvero).

Per quanto riguarda le accuse di stalinismo, sorprende come gli autori siano così incauti nell’uso delle parole. Perché in tanti anni non hanno mai saputo fare di meglio?