La legge costituzionale su cui ci pronunceremo al referendum di ottobre è stata criticata sia perché ridurrebbe gli spazi di democrazia, sia per le sue complicazioni. Sono critiche in parte incompatibili, perché più un disegno complica il sistema di decisione, meno può essere al servizio de «l’uomo solo al comando», e viceversa. Anche per questo, le esaminerò separatamente.

Per molti la legge ridurrebbe gli spazi di democrazia solo perché connessa all’entrata in vigore del-la nuova legge elettorale. Una riforma della Costituzione, che dovrebbe durare oltre le stagioni politiche, è cosa diversa da una semplice riforma della legge elettorale. Ma non mi sottraggo all’obiezione. Veniamo da ventidue anni di maggioritario, undici dei quali con premio di maggioranza. La differenza è che l’Italicum assegna il premio alla lista, non anche a una coalizione di liste (il che significa impedire la frammentazione delle maggioranze che ha caratterizzato la seconda non meno della prima fase della Repubblica), e lo assegna alla lista che abbia ottenuto almeno il 40% dei voti o, diversamente, a una delle due liste meglio piazzate attraverso un turno di ballottaggio (sulla legittimità costituzionale di questa scelta si pronuncerà la Corte costituzionale).

Ma, si dice, l’Italicum favorisce la personalizzazione o la verticalizzazione della politica, svilendo la partecipazione. Il fatto è che la politica è già personalizzata e verticalizzata: un sistema proporzionale puro equivarrebbe oggi a una competizione fra quattro o cinque capi anziché fra due, col solo risultato di rendere precaria qualsiasi maggioranza. Se si vuole, come è giusto, un ritorno alla politica partecipata, non è al sistema elettorale che si deve guardare.

Per altri la riforma costituzionale, eliminando l’elezione popolare diretta del Senato, contrasterebbe in quanto tale col principio di sovranità popolare. Ebbene, nel settantennio repubblicano, la tesi che il bicameralismo perfetto e la forma di governo parlamentare dovessero ritenersi sottratti a revisione costituzionale, in quanto coessenziali all’articolo 1 della Costituzione, ha avuto un solo sostenitore: il presidente della Repubblica Francesco Cossiga nel suo messaggio alle Camere del 1991, il quale proprio per questo voleva un’assemblea costituente. Allora, i maggiori costituzionalisti scesero in campo contro quella tesi. Infine, l’obiezione che la riforma indebolirebbe gli organi costituzionali di garanzia si regge su ipotesi fragilissime.

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