La politica – come una serie di altri ambiti dell’umano agire – vive di simboli. E tanto maggiormente nell’era in cui i grands récits ideologici sono stati definitivamente archiviati, favorendo così l’instaurarsi di un’equazione sempre più cogente tra politica e immaginario. Ecco, allora, che il possibile spostamento della festa de «l’Unità» bolognese (che ha mantenuto orgogliosamente tale nome in permanenza, anche in epoca di revisionismi e prima dell’apparentemente inopinata “riabilitazione semantica” fatta da Matteo Renzi) diviene una notizia autenticamente “glocal”.

E un ennesimo segno dei tempi, un altro “muro” (in questo caso non oppressivo, ma festante) che rischia di crollare, consegnando al passato un ulteriore pezzo di storia consolidata in quella che è stata una capitale occidentale del “comunismo realizzato” (meglio, della sociadelmocrazia reale) e delle sue metamorfosi. Ma che oggi è tutt’altro. D’altronde, pure il modello emiliano è, per molti versi, una pagina del passato o, quanto meno, si rivela così trasfigurato da essere diventato oggetto di indagine storica assai più che di policies praticate.

La nuova, ennesima breccia avviene al Parco Nord, da cui dopo un quarantennio la festa provinciale de «l’Unità» potrebbe traslocare in direzione Casalecchio (nell’area dell’Unipol Arena), modificando così in maniera considerevole la topografia della sinistra, non soltanto cittadina. Luoghi dalla prevalente vocazione commerciale, va detto, peraltro già noti anche al pubblico non bolognese come intrinsecamente politici, avendo ospitato nell’ormai lontano 23 novembre 1993 la famosa “discesa in campo” di Silvio Berlusconi cavaliere da Arcore (l’occasione fu il taglio del nastro di quello che all'epoca si chiamava “Euromercato”, di sua proprietà).

A dire il vero, se il trasloco sarà confermato, a cambiare sarà una geografia ormai più sentimentale ed edonistica che politica, dal momento che la funzione delle feste come momenti di socializzazione politica di massa risulta ormai da parecchio tempo mandata anch’essa in soffitta insieme al paradigma dei partiti di integrazione sociale. Tramontata l’ideologia, e pure i suoi surrogati forti, il festival ora targato Pd costituiva proprio l’eredità più solida (e la sola rimasta), a dispetto dei tempi, di quel modello organizzativo.

Dal momento che stiamo parlando da Bologna, la prima città di quell’Emilia-Romagna che fu il “granaio del Pci” nazionale, il trasferimento della festa che, immarcescibile appunto rispetto alle evoluzioni politiche e narrative, se ne stava solidamente tra i viali del Parco Nord – ribadendo alle generazioni di bolognesi, una dopo l’altra, che hic manebimus optime – va registrato come un piccolo evento epocale. Insieme al “popolo della sinistra” (variamente rietichettata), quei boulevard di periferia vicino alla tangenziale li avevano calcati tutti i suoi leader, da Enrico Berlinguer fino al premier e segretario Renzi.

In verità, Renzi con quella storia c’entra pochissimo ma, essendo dotato di un innato talento per il marketing, aveva giustappunto intuito al volo che “squadra che vince non si tocca”, e che nell’epoca postmoderna e dell’economia immateriale la differenza la fanno i brand, gelosamente da conservare (almeno quando funzionano bene e “fanno fatturato” politico ed economico). Sicché erano piovuti da ogni dove anche coloro che alla politica erano magari poco o punto interessati, ma non volevano fare mancare al proprio Bildungsroman di giovani qualcuno dei famosi e frequentatissimi concerti rock che si sono succeduti negli anni all’interno dell’arena festivaliera.

Ma ora, appunto, a presentare il conto alla kermesse, imponendo il cambio di nome, arrivano le inesorabili leggi dell’economia, quelle che governano il Villaggio globale da sempre. E, naturalmente, neppure la più grande fabbrica a cielo aperto del pianeta di tigelle e crescentine per l’autofinanziamento di un’organizzazione politica poteva immaginare di restarne al riparo. Dura lex, sed lex: con gli affitti non si scherza (nel caso, poi, resterà da vedere se davvero i parcheggi e la logistica faciliteranno lo svolgimento della complessa macchina festivaliera). Così la bandiera degli eredi del Pci-Pds-Ds verrà (forse) ammainata dal Parco Nord. Perché le diversità antropologiche (e figuriamoci, quindi, le location per metterle in scena) si consumano e todo cambia; tranne, appunto, l’esigenza di fare quadrare i conti.