La stretta di Erdogan sulla libertà di stampa in Turchia. Ergastolo, ergastolo con regime di carcere duro e trent’anni di reclusione. Queste sono le pene richieste la scorsa settimana dalla Procura della Repubblica di Istanbul per Can Dündar e Erdem Gül, del quotidiano «Cumhuriyet» (Repubblica). Detenuti dal novembre scorso, i due giornalisti sono accusati di spionaggio politico e militare, sostegno a un’organizzazione terroristica e tentativo di rovesciare il governo della Repubblica. La Procura aveva aperto un’indagine nei loro confronti all’indomani della pubblicazione lo scorso maggio di un articolo intitolato Ecco le armi che Erdoğan dice che non esistono corredato da fotografie che mostravano il carico di armi e munizioni da guerra scoperto durante una perquisizione della gendarmeria ad alcuni camion, destinati ufficialmente a portare aiuti umanitari e medicinali alla minoranza turkmena in Siria. La notizia aveva suscitato le ire del presidente della Repubblica Erdoğan che aveva minacciato: «Gli autori dell’articolo pagheranno un caro prezzo».

I primi a pagare erano stati i gendarmi autori della perquisizione colpiti da trasferimenti e procedimenti disciplinari. Poi è stata la volta dei due giornalisti. Erdem Gül è il direttore dell’ufficio di Ankara di «Cumhuriyet», che ha la sua sede ad Istanbul. Can Dündar è uno dei giornalisti televisivi e della carta stampata più noti e popolari nel Paese, autore fra l’altro di documentari per la televisione e il cinema tra i quali anche uno andato in onda nel 2007 che ricostruiva in maniera obbiettiva l’ascesa della stella politica di Erdoğan. Nel 2008 un documentario per il cinema dedicato a Mustafa Kemal Atatürk gli aveva provocato gli strali dei kemalisti più rigorosi, che lo accusavano di aver messo in cattiva luce la figura mitologica del padre fondatore della Repubblica. Nel 2013 era stato licenziato dal quotidiano «Milliyet», all’indomani del passaggio della proprietà nelle mani di un imprenditore vicino a Erdoğan. Nello stesso anno era poi passato a dirigere «Cumhuriyet», quotidiano fondato nel 1924 un anno dopo la proclamazione della Repubblica, della quale per decenni ha incarnato i valori e l’ideologia. L’arrivo di Dündar aveva consacrato l’inizio di una nuova politica editoriale volta a raccogliere vecchie e nuove firme del giornalismo di opposizione cercando nel contempo di smussare gli aspetti più anacronistici e improponibili del kemalismo. Le richieste di condanna della Procura di Istanbul per Dündar e Erdem preannunciano per i media turchi un anno ancora più difficile di quello che si è appena concluso. L’episodio più clamoroso lo scorso settembre, quando la polizia aveva fatto irruzione nei locali della Holding Ipek Koza proprietaria di due giornali e due canali televisivi. Successivamente la gestione della Holding era stata affidata a degli amministratori giudiziari che per prima cosa avevano provveduto a licenziare sessanta giornalisti. Nello stesso mese il quotidiano «Hürriyet» era stato assalito da militanti dell’organizzazione giovanile dell’Akp, il partito di Erdoğan. A guidarli Abdurrahim Boynukalın, che all’indomani delle elezioni del primo novembre è stato poi nominato viceministro dello Sport. A ottobre Ahmet Hakan, editorialista dello stesso giornale, era stato picchiato davanti a casa, sempre da un gruppo di militanti dell’Akp.

Per l’informazione del Paese – come denuncia il rapporto annuale dell’Osservatorio sui Media del sito Bianetsi sta delinenando una situazione che rischia di offuscare quella già drammatico degli anni Novanta. Nel 2015 31 giornalisti, dei quali la metà curdi, sono finiti in carcere, 120 sono stati fermati della polizia mentre 42 sono stati condannati per diffamazione nei confronti del presidente Erdoğan.