Il linguaggio politico è un animale strano ma rivelatore, in particolare quello più marcatamente populista. E oggi, in un tempo in cui la politica di ogni colore non ha più né contenuto né idee, ma nel migliore dei casi si è fatta gestione delle procedure, il suo discorso tende ad assumere quasi naturalmente questa piega. Intercettare le paure indistinte della gente, le emozioni che si producono attraverso l’iper-esposizione mediatica in cui siamo immersi senza alcun filtro e criterio, l’ignoranza che abbiamo rispetto ai fenomeni che generano una forma arcaica di opinione pubblica è la base su cui costruire un consenso immediato da spendere come legittimazione di una radicale inversione di ciò che rimane dell’ideale democratico occidentale.

Le rappresentanze classiche della tradizione liberale e democratica della politica in Occidente sono in chiara difficoltà davanti all’avanzata massiccia di uno sfruttamento elettorale delle paure indistinte dei cittadini. Al massimo riescono a mettere insieme improbabili alleanze di un momento, per differire almeno di un po’ l’istituzionalizzazione della paura e del sospetto a principio di governo della coesistenza sociale e civile. Il meglio della democrazia che abbiamo ereditato in cambio di una sicurezza effimera, pagando il prezzo di un congedo probabilmente definitivo dai nostri stessi diritti. Il fondamentalismo, qualsiasi ne sia la matrice, mostra la debolezza della cittadinanza postmoderna che immagina la democrazia come una culla che ci accudisce a vita, e non come l’azzardo più esposto di uno stile del vivere tutti insieme, senza discriminazione alcuna.

La retorica politica anti-musulmana, che circola da alcune settimane negli Stati Uniti in vista delle prossime elezioni presidenziali, sta trovando una legittimazione inedita in una nazione che ha fatto della libertà (religiosa, di espressione, di stampa, di opinione) il principio di organizzazione del proprio ethos comune. Ed è proprio questa legittimazione civile di fatto che ha messo in allerta le antenne sensibili dell’American Academy of Religion: “Siamo profondamente preoccupati per l’insorgenza di una retorica anti-musulmana negli Stati Uniti e nel mondo intero. Linguaggio discriminante di odio e discorsi politici a sfondo violento contro i musulmani e altri gruppi religiosi sono qualcosa di opposto ai valori della nostra società istruita e degli impegni più cari della cultura civile americana”. Non dovremmo prendere questa dichiarazione pubblica come un semplice campanello di allarme; si tratta piuttosto dell’individuazione di un sintomo diffuso e difficile da arginare.

Che si tratti di qualcosa di più profondo di una semplice opportunità politica da sfruttare nella congiuntura del momento lo rivelano anche alcuni interventi provenienti dalla gerarchia della Chiesa cattolica statunitense. Se i vescovi americani sono stati sempre pronti a un’esposizione pubblica in materia generica di libertà religiosa, sono invece stati più reticenti quando si trattava di connetterla alla questione della presenza musulmana nella vita della Nazione. Il cadere di questa ultima riserva non può essere semplicemente imputato all’eccentricità opportunistica di Donald Trump. Qualcosa deve essere entrato in fibrillazione nei doveri più cari della cultura civile statunitense. Almeno così lasciano intuire le parole espresse con cautela dal presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, J. E. Kurtz: “Dovremmo mettere in campo leggi sull’immigrazione che siano umane e ci tengano sicuri, ma che non dovrebbero mai prendere di mira in maniera specifica determinate categorie di persone basandosi sulla religione. Politiche dettate dalla paura e una retorica che istiga all’eccitamento offrono agli estremisti un terreno fertile e spianano la strada verso un futuro fatto di divisioni e governato dalle paure”.

Più esplicito l’intervento dell’arcivescovo di Detroit, A. H. Vigneron, che ha anche il merito di mettere a nudo il pericolo di un radicamento civile della retorica anti-musulmana per la questione cardine della libertà religiosa: “Alla luce di recenti proposte di restringere l’immigrazione di musulmani negli Stati Uniti sulla base della loro religione, ritengo che possa essere di aiuto ricordare a tutti quale sia la posizione della dottrina cattolica verso l’islam. […] Se la Chiesa cattolica si astiene dall’intervenire a favore o contro candidati individuali per una particolare carica politica, essa però si sente in dovere di parlare sulla moralità di questo tema importante e decisivo che è la libertà religiosa. Specialmente quando il nostro discorso politico riguarda le reali preoccupazioni legate alla sicurezza del nostro Paese, delle nostre famiglie e dei nostri valori, dobbiamo ricordarci che i diritti religiosi rappresentano la pietra angolare di questi valori. Restringere o sacrificare questi diritti religiosi per paura, invece di difenderli e proteggerli in nome di un mutuo rispetto e giustizia, è una razionalizzazione che lede il nodo fondamentale della moralità sulla quale tutti noi viviamo”.

Insomma, davanti al fondamentalismo e allo sfruttamento politico della paura che esso genera, non si può chiedere solo ai musulmani di giustificare la presenza della religione e delle pratiche della fede nello spazio civile abitato da tutti. Il dovere morale della libertà religiosa chiede a ogni cittadino, e a ogni religione, di farsene carico per custodire i fondamentali stessi di una forma democratica del nostro essere-insieme.