Il papa delle fratture? Papa Francesco è tornato a Roma. E se i mille gadget che hanno accompagnato la sua visita rimarranno sugli scaffali dei negozi di souvenir per molto tempo ancora, a noi rimane da capire cosa resta del vortice mediatico, emozionale, (geo)politico ed ecclesiastico con il quale il pontefice ha travolto gli States.Il papa delle fratture nord/sud, repubblicani/democratici, conservatori/liberal, curia/fedeli, poveri/ricchi ha varcato in una settimana soglie politiche che sino a una anno fa non apparivano neanche all’orizzonte.

Dopo aver contribuito in modo incisivo alla distensione dei rapporti tra Cuba e Stati Uniti, Francesco ha fatto visita ai due paesi passando da Sud, da l’Avana, per approdare nella capitale statunitense. Ad accoglierlo, insieme alle folle di fedeli e alle centinaia di giornalisti, una Conferenza episcopale “in attesa di giudizio” e un Congresso a maggioranza repubblicana in fermento per le candidature alle primarie.

Ai suoi “fratelli nell’episcopato” ha ricordato quei valori che già il Concilio Vaticano II aveva scelto di indicare nella Costituzione dogmatica sulla chiesa, la Lumen gentium, al capitolo sull’episcopato: unità, accoglienza, dialogo, collegialità e pastorale. E lo ha fatto suggerendo con fermezza l’astensione dalle “lotte mondane”, invitando i vescovi ad essere la città sulla collina di memoria coloniale (ed evangelica). Chi lo vuole conservatore ha condannato le poche parole dedicate agli scandali sugli abusi sessuali e l’assenza di riferimenti a chi, nell’episcopato, non li ha denunciati. Chi lo vuole liberal, invece, ha visto nell’assenza di riferimenti alla battaglia dei vescovi statunitensi per la libertà di religione una implicita condanna.

Nel discorso al Congresso ha guardato agli Stati Uniti attraverso le lenti di quattro miti: Abraham Lincoln, Martin Luther King jr., Dorothy Day e Thomas Merton. Come ha detto il pontefice: «Tre figli e una figlia di questa terra, quattro individui e quattro sogni: Lincoln, libertà; Martin Luther King, libertà nella pluralità e non-esclusione; Dorothy Day, giustizia sociale e diritti delle persone; e Thomas Merton, capacità di dialogo e di apertura a Dio». Se il suo fosse stato un discorso politico, da capo di Stato, schiavitù e razzismo non sarebbero mancate nell’elenco. Invece Francesco entra al Congresso da capo di Stato e esce da papa: sceglie di guardare ai quattro miti con lo sguardo di chi vuole offrire risposte ai fedeli, non agli elettori. Chiedere l’abolizione della pena di morte, parlare di degrado ambientale, invitare al ripudio della guerra e alla distribuzione della ricchezza non è un tentativo di spostare voti sui democratici. Difendere la famiglia e le relazioni fondamentali non è, nel verso opposto, un endorsement alle campagne in difesa della famiglia “tradizionale”, eterosessuale, pro-life e, se possibile, Wasp.

Nella prolusione di commenti televisivi che ha accompagnato la visita, colpisce l’inevitabilità della dinamica delle guerre culturali e della polarizzazione a tutti i costi. In quest’ottica, il papa delle fratture siede necessariamente o da un lato o dall’altro della spaccatura. Chi lo vuole repubblicano sottolinea i temi dell’aborto e della libertà di coscienza, chi lo vuole democratico ammette che sì, ne ha parlato, ma come parte di un più ampio spettro di temi di pertinenza socio-politica, come l’immigrazione, il terrorismo, la violenza, l’ambiente, la famiglia. C’è anche chi lo vuole anti-ideologico nella forma, ma filo-comunista nella sostanza, perchè parlare di ambiente è radical, ma casa, lavoro, terra, educazione, libertà e diritti non possono che essere temi di un’agenda anti-capitalista. 

Ciò che rimarrà impresso nella memoria di chi ha seguito la diretta TV saranno forse le due giornate “politiche” trascorse tra Washington D.C. e New York. Sarà compito della storia restituirci anche i particolari delle due giornate dedicate ai gruppi di fedeli che esprimono tutte le facce del cattolicesimo statunitense. Ad Harlem, al Madison Square Garden e a Philadelphia, Francesco ha incontrato immigrati, vittime di abusi sessuali, detenuti, famiglie e, non in ultimo, la comunità ispanica, che costituisce circa un quarto della popolazione cattolica. In questi due giorni il vescovo di Roma ha cercato di avvicinarsi ai gruppi che si sentono lontani dai suoi “fratelli nell’episcopato”, ma che costituiscono una delle realtà più vivaci e attive del tessuto sociale statunitense.

Perché se è vero, da un lato, che mai prima di oggi gli Stati Uniti avevano visto così tanti cattolici nella Corte Suprema, nel Governo, nel Congresso e tra i governatori (i quali peraltro rispondono a constituencies composte anche da non cattolici), è altrettanto vero che questo è il risultato dell’impegno di un sempre maggiore numero di cattolici che scelgono di lavorare nel sociale o di entrare in politica. E lo fanno perchè sono cresciuti nell’epoca post-kennediana e reganiana, che ha lasciato alla storia l’anticattolicesimo e che guarda a Roma alla ricerca di risposte capaci di fronteggiare la modernità delle proprie domande.