A una settimana di distanza dalla pubblicazione, l'enciclica di papa Francesco sembra colpire i commentatori soprattutto per il suo presunto messaggio anti-capitalista (molto citato il passo sul salvataggio delle banche) e i consigli di vita quotidiana sparsi qua e là. Si tratta di elementi non nuovi, spesso estemporanei, frutto di una strategia comunicativa tipica di questo papato.

Meno considerata è la visione teorica che il documento propone.  Laudato si' tenta di presentare una versione cristiana di una tesi molto diffusa nell'etica ambientale – il cosiddetto paradigma della stewardship, inaugurato dalle riflessioni di John Passmore nel 1974, cioè l'idea secondo cui gli esseri umani hanno il dovere di custodire e proteggere la natura non umana. Questa visione si contrappone a due teorie alternative: l'idea che la natura selvaggia sia da contemplare e preservare senza alcun intervento (un atteggiamento romantico inaugurato da Thoreau) e la tesi secondo cui gli esseri umani possono liberamente sfruttare per i propri fini la natura (un paradigma definito antropocentrismo).

Al cuore di Laudato si' sta una tesi creazionista: il mondo è creato da Dio, e in esso si può leggere un messaggio d'amore nei confronti delle creature. «Tutto l'universo materiale è un linguaggio dell'amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. […] Dio ha scritto un libro stupendo [...]» (84-5).

Dal creazionismo deriva che:

- La natura ha valore non perché strumento a disposizione degli esseri umani, ma perché creatura di Dio;

- Non c'è separazione fra esseri umani e natura non umana: siamo tutti creature di Dio. «Tutto è in relazione, e tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall'amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra» (92);

- Il mondo è stato donato da Dio a tutti gli esseri umani, come loro “casa comune”: «La creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall'amore» (76). Il mondo naturale è un bene in uso comune, e da quest'uso non si possono escludere gli altri: «La terra è essenzialmente una eredità comune, i cui frutti devono andare a beneficio di tutti […] perché Dio ha creato il mondo per tutti. […] Perciò Dio nega ogni pretesa di proprietà assoluta» (93, 67);

- Gli esseri umani sono custodi, o amministratori, del creato, e debbono assecondare il progetto divino:  «L'intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato è il modo più adeguato di prendersene cura, perché implica il porsi come strumento di Dio per aiutare a far emergere le potenzialità che Egli stesso ha inscritto nelle cose» (124).

- Gli atteggiamenti di dominio della natura, le manipolazioni, lo spreco e il consumo fine a se stesso (lo «scarto») sono mancanze di rispetto nei confronti del creato e, quindi, nei confronti del creatore: sono «peccati contro la creazione» (8). La conversione ecologica è una «riconciliazione con il creato» (218).

Questa visione cristiana del paradigma della stewardship lascia insoddisfatti per molte ragioni. Innanzitutto, il creazionismo non è una premessa che possa facilmente essere condivisa da tutti gli uomini di buona volontà. Inoltre, esso rende il valore della natura derivato e strumentale: come Francesco d'Assisi, papa Francesco ci invita a lodare Dio per le sue creature, non ad apprezzare il valore del creato in sé e per sé. Il creato è segno della divinità, non oggetto proprio di benevolenza o di rispetto. Si passa dall'idea che la natura sia un serbatoio di risorse da sfruttare all'idea che essa sia un mero segno dell'amore di Dio.

Infine, dalla tesi del dono di Dio non discende l'idea che la natura e le sue risorse siano beni comuni, come pure nell'enciclica si dice molte volte («il clima è un bene comune di tutti e per tutti. […] L'ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l'umanità […], 23, 95). In realtà Bergoglio sostiene che la Terra è proprietà privata della divinità, che l'ha data agli esseri umani in comodato d'uso. Data l'eguaglianza degli esseri umani, da ciò discende che nessuno può appropriarsi di risorse naturali senza lasciarne abbastanza agli altri. Ma ciò non perché tutti gli esseri umani siano padroni della Terra, bensì perché nessuno di loro lo è. Questa è, certamente, una mossa efficace per sfuggire all'antropocentrismo predatorio. Ma non equivale alla tesi secondo cui tutti gli esseri umani hanno diritto alle risorse naturali. Piuttosto, l'uso delle risorse naturali è concesso all'umanità da un padrone benevolo. Anche in questo caso, al centro del quadro sta il creatore, non le creature.

Le conclusioni di papa Francesco convergono con molte istanze dei movimenti ambientalisti. Ma la convergenza è solo superficiale, e le premesse impiegate nell'enciclica sono difficilmente condivisibili se si parte da una prospettiva non creazionista. Questo è un fattore di debolezza, non di forza, dal momento che il fallimento dei negoziati sul clima, ad esempio, deriva dalla mancanza di una base etica condivisa. Al di là degli entusiasmi iniziali, è difficile che quest'enciclica produca risultati politici o sociali rilevanti.