Solitamente ai margini del dibattito pubblico e politico, la regione Marche questa volta ha giocato un ruolo differente nello scenario elettorale. Per le controversie che hanno caratterizzato la composizione dell'offerta politica, ma anche per il risultato, che fa della regione un punto di osservazione particolarmente interessante per le dinamiche elettorali che vanno oltre questa regione. 

La proiezione nazionale della campagna elettorale è stata determinata soprattutto dal "caso" legato al governatore uscente, Gian Mario Spacca. Eletto per due mandati con il centrosinistra, proveniente dalla Margherita e iscritto per alcuni anni al Pd, Spacca si è infatti presentato a capo di una coalizione denominata progetto Marche2020, sostenuto da Area popolare, dalla lista Democrazia cristiana e, soprattutto, da Forza Italia, partito di opposizione ai governi Spacca. Nelle interviste precedenti le elezioni, il governatore sottolineava di essersi sempre sentito espressione di un’alleanza di governo, più che un esponente del Pd. Ma il lessico acceso della campagna elettorale è ricorso alle categorie del trasformismo, del ribaltone, del tradimento, alimentando le ironie dei social network (dove circolavano le immagini di Spacca Vinavil incollato alla poltrona).  Al nodo "politico", peraltro, si sommava la questione “tecnica” della ri-eleggibilità per il terzo mandato: ma le diverse interpretazioni giurisprudenziali e le norme transitorie nella legge marchigiana hanno infine permesso la ricandidatura di Spacca.

Un altro passaggio importante in merito alla scelta dei candidati ha riguardato, lo scorso marzo, le primarie del Pd. Constatato che l’eventuale candidatura di Francesco Comi, segretario regionale del Pd, non raccoglieva il consenso di tutte le componenti del partito, si sono svolte le primarie che hanno decretato la vittoria di Luca Ceriscioli (ex-sindaco di Pesaro) su Pietro Marcolini (Assessore regionale al bilancio), con 52,5% contro il 46,1%.

I risultati del voto, tuttavia, hanno smentito le attese di una resa dei conti tra Pd ed ex-Pd. Luca Ceriscioli, sostenuto da formazioni di centrosinistra (41,1%, 251.050 voti) è risultato vincitore con un margine di quasi venti punti sul principale inseguitore, Gianni Maggi del Movimento 5 Stelle (21,8%, 133.178 voti). Un risultato che ripropone quindi il dualismo centrosinistra vs 5 Stelle già emerso in occasione delle politiche del 2013. A poca distanza dal candidato pentastellato, si è piazzato Francesco Acquaroli, consigliere regionale uscente di Fratelli d'Italia e sindaco di Potenza Picena, sostenuto dalla Lega Nord e dallo stesso partito di Giorgia Meloni (19%, 116.047 voti). Gian Mario Spacca è così scivolato al quarto posto (14,2%, 86.848 voti), seguito da Edoardo Mentrasti per Altre Marche-Sinistra Unita (3,8%, 20.266 voti).

Venendo ora all’astensione, la partecipazione elettorale è scesa per la prima volta sotto la "soglia psicologica" del 50%, con dati leggermente più elevati nelle circoscrizioni del Nord delle Marche (Pesaro e Urbino, Ancona) e in quella di Fermo, dove poco più della metà degli elettori si è recato alle urne. Il complessivo 49,8% coincide con un arretramento di quasi 16 punti rispetto alle Europee di un anno fa e addirittura del 30% rispetto alle ultime politiche. Nel confronto con le regionali del 2010, l'arretramento di 13 punti è il più consistente nelle sette regioni al voto. Il trend marchigiano, tuttavia, si inserisce nel quadro di un crescente malessere che investe l'intero Centro Italia: sono proprio le Marche, insieme alla Toscana, a fare segnare i tassi più bassi di affluenza (52,2% il dato complessivo delle 7 regioni al voto). Se consideriamo anche i dati dell'Umbria (ma potremmo aggiungere anche quelli dell'Emilia-Romagna, in occasione delle regionali del novembre scorso), emerge in modo chiaro come le emorragie più consistenti, nella partecipazione al voto, riguardino proprio le regioni della cintura rossa.

Per quanto riguarda invece i voti alle liste, emerge un quadro piuttosto articolato. Il 35,1% del Pd si colloca a metà strada tra 45,5% delle europee e il 27,7% delle politiche, ma supera comunque il risultato delle precedenti regionali (31,1%) – sebbene, in valori assoluti, manchino comunque all'appello oltre 38 mila voti rispetto al 2010. Il Pd continua ad essere maggiormente radicato nelle province settentrionali: Pesaro e Urbino (44,1%), anzitutto, e poi Ancona (42,1%) costituiscono i bacini di voto più favorevoli. (Le restanti aree delle Marche esprimono, per tradizione, altre culture politiche: quella cattolica nel maceratese e di destra nelle zone del Sud.)

Lo stesso schema vale, del resto, per Marche-Sinistra Unita, che conquista il risultato migliore nella provincia di Ancona (5,7%). Il consenso ottenuto dal candidato si allinea però al dato conseguito alle scorse europee con L’Altra Europa con Tsipras (4%, 3,8% alla lista), di cui ne echeggia il nome.

Rispetto al fenomeno 5 Stelle, le Marche si erano già distinte alle politiche 2013 e poi alle europee 2014 per un consenso elevato. Anche in quest’occasione il dato ottenuto (21,8% al candidato) supera di  cinque punti la media delle sette regioni (16,6%) ed è secondo solo a quello della Liguria, regione di Grillo. Come negli altri contesti al voto, si tratta di un risultato che prolunga un trend negativo – 32%, nel 2013; 24,5%, un anno fa; 18,9%, oggi – ma che comunque segna una stabilizzazione e un consolidamento, nel confronto con il territorio, delle liste grilline. Che peraltro confermano la capacità di "rompere" la struttura tradizionale del voto sul territorio. Le performance più elevate riguardano, infatti, due province agli antipodi, per quanto riguarda la mappa del voto nelle Marche: la “rossa” provincia di Pesaro e Urbino (23,2%) e l’ascolano (22,4%), di tutt’altra vocazione politica.

Anche l'altra opposizione emersa dal voto, costituita dall'alleanza Lega- Fratelli d'Italia a sostegno di Acquaroli, ottiene un risultato interessante. La Lega, con il 13% (era sotto il 3%, solo un anno fa), è il terzo partito della regione. Fratelli d'Italia il quinto (subito dopo Forza Italia: 9,4%) con il 6,5%, in crescita di due punti rispetto alla performance delle Europee. Nell'insieme della Regione, il candidato di questo cartello elettorale ottiene la frazione di voti più alta in provincia di Macerata (24,3%), che, non a caso, coincide con l'area di maggiore debolezza del M5S. Quasi a sottolineare come l’elettorato marchigiano intenzionato ad esprimere un voto contro abbia privilegiato il M5s o la coalizione Lega-FdI a seconda dei territori. Insieme, le due opposizioni che rappresentano i blocchi nazionali "anti-sistema" e "anti-Renzi", guidati da Grillo e Salvini, ottengono, a livello regionale, lo stesso consenso della coalizione vincente (41%).

Concludendo: il dibattito nazionale sulle Regionali ha assegnato alla Liguria l'etichetta di "Ohio d'Italia". Ma anche la "lezione marchigiana" offre indicazioni che oltrepassano la dimensione locale.  E vanno oltre il cambio di casacca del Governatore uscente e l'esperimento  della sua lista, bocciato dagli elettori marchigiani.

Al di là del successo del nuovo corso Pd, con il neo-governatore Ceriscioli, il risultato più interessante è fornito dal peso delle formazioni che – a Roma come ad Ancona – danno voce all'insoddisfazione verso la politica e verso i partiti: verso il sistema politico locale e nazionale. Il peso dei diversi populismi: la loro forza, ma anche la loro frammentazione, che impedisce (almeno per ora) di insidiare la maggioranza che gravita attorno al Pd(R): il Partito democratico di Renzi.

Il risultato della Lega conferma l'ascesa di Salvini: il definitivo sfondamento oltre il Po, la conquistata egemonia sul centro-destra, a spese di Forza Italia. Ma anche la mancanza di competitività dell'ex-blocco berlusconiano, nel momento in cui (a differenza di quanto avvenuto a Genova) non riesce a trovare una piattaforma unitaria. Tanto più se sostiene un candidato proveniente dal centrosinistra.

In modo ancora più esplicito, le Marche continuano a certificare la vitalità del M5S. Alla vigilia del voto, questo partito veniva dipinto come formazione debole in occasione di elezioni “locali”, un partito "senza radici". Prefigurandone una débâcle: per la minore efficacia del «leader megafono», in un appuntamento elettorale nel quale pesano le logiche locali e l'organizzazione sul territorio. Le Marche, al contrario, continuano a rappresentare un laboratorio per il processo di istituzionalizzazione (e normalizzazione) del M5S.

Le Marche, quindi, come microcosmo: riflesso di tradizioni e culture politiche radicate nel territorio. Ma anche espressione di relazioni, logiche e conflitti locali, intrecciati a tendenze di più ampio respiro, che accompagnano l'evoluzione dell’elettorato italiano.