La notizia (o la non notizia) è che le ultime analisi della Commissione europea in tema di società ed economia digitali ci bocciano. A livello europeo l’Italia occupa quasi sempre una delle ultime posizioni quando si parla di connettività, competenze digitali, attività svolte online, integrazione della tecnologia digitale e servizi pubblici digitali. Quando si parla di società dell’informazione, l’Italia è tra i Paesi (con Bulgaria, Cipro, Grecia, Croazia, Lettonia, Ungheria, Polonia, Romania, Slovenia e Slovacchia) che da sempre registra performance mediocri.

Il Desi (Digital Economy and Society Index) è un indice composto costruito su dati raccolti (prevalentemente) nel 2014 che – oltre al gruppo già citato – individua alcuni Paesi eccellenti (Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Svezia) e altri intermedi (Regno Unito, Estonia, Lussemburgo, Irlanda, Germania, Lituania, Spagna, Austria, Francia, Malta, Portogallo e Repubblica Ceca). Tutto sommato, l’Italia raggiunge la sufficienza per quanto riguarda sia la connettività e le infrastrutture sia la dotazione di capitale umano e competenze digitali di base. La Pubblica Amministrazione e, in particolare, il settore della Sanità dimostrano invece buoni risultati e future potenzialità. I ritardi invece emergono nella gamma di usi della Rete da parte di cittadini e imprese. Presi singolarmente, i singoli indicatori evidenziano delle eccezioni che sfumano almeno in parte il quadro complessivamente negativo: siamo 25i su 28 Paesi.

Connettività e infrastrutture. A fronte di una disponibilità di connessione via Dsl quasi universale (99% della popolazione), abbiamo solo il 2,2% di famiglie che investe sulla velocità (> 30Mbps) quando sottoscrivono un abbonamento contro la media europea del 22%. Il costo più elevato dell’abbonamento per un cittadino italiano rispetto alla media può in parte spiegare questo dato (1,6% del reddito lordo individuale contro l’1,3%). Ma è soprattutto la netta preferenza che gli italiani dimostrano verso i cellulari a essere significativa: il 66% decide a favore di un abbonamento a Internet usufruibile dal proprio telefono, facendoci occupare per una volta la dodicesima posizione in classifica. Questo dato si capisce alla luce tanto di uno stile di vita tipicamente italiano (che lega mobilità e status symbol) quanto ai cospicui investimenti degli operatori nel settore mobile e non in quello fisso, da sempre trascurato e poco chiaramente regolamentato. La nota dolente è invece il netto ritardo nell’adozione di Ngn (Next Generation Network) che riguarda solo il 21% delle famiglie contro il 62% in Europa. Tuttavia, non è chiaro a cosa si riferisca questo indicatore, se a nuovi servizi (combinazione voci/dati o cloud ad esempio) o infrastrutture. In ogni caso, stiamo pagando il ritardo nell’adeguamento dell’infrastruttura di base (il classico doppino di rame) di cui si parla ora in Parlamento.

Capitale umano e competenze digitali di base. Circa i due terzi (59%) degli italiani tra i 16 e i 74 anni si collegano regolarmente a Internet  contro un 75% europeo e dimostrano di saper eseguire operazioni di base (47 contro il 59%). Più preoccupante è il fatto che il 31% non abbia mai avuto accesso alla Rete, circa il doppio della media europea. D’altro canto, anche se registriamo meno laureati in materie scientifiche (13 su 1000 cittadini tra i 20 e i 29 anni rispetto ai 17 degli altri paesi), è confortante notare che gli specialisti nel settore delle ICT sono invece in linea con l’Europa (2,4 rispetto il 2,8%). Il quadro delineato rimanda a forti problemi di alfabetizzazione digitale di base, cioè che riguarda la popolazione più in generale, fattore che può precludere a innovazione sociale ed economica.

Usi di Internet. L’Italia non primeggia per la varietà di usi della rete e in particolare di alcuni servizi digitali. Da sempre, gli italiani nutrono poca fiducia verso sistemi di banking online (42 contro il 57%), lo shopping virtuale (35 contro il 63%) o la fruizione di video on demand (20 contro il 39%). Quest’ultimo dato unito alla quasi inesistente diffusione della Iptv (Internet Protocol Television) (0,5 rispetto al 13%) è spiegabile alla luce di scelte politiche che hanno privilegiato altri canali di trasmissione come quello terrestre e digitale. Preoccupante è invece il netto calo di coloro che si affidano a Internet per le informazioni e la lettura dei quotidiani: non solo lo fa il 60% degli italiani rispetto al 67% degli europei, ma in un solo anno la contrazione è stata di otto punti percentuali. Il web non sembra più rappresentare una fonte aggiuntiva e attraente di informazione. Uno dei motivi è sicuramente rintracciabile nel graduale passaggio da un modello gratis di fruizione a uno di tipo freemium, ma anche la scarsa dotazione di competenze digitali avanzate incide negativamente.

Utilizzo delle tecnologie da parte delle piccole e medie imprese. Il panorama che emerge dai dati comparati è duplice: da un lato ci sono le imprese che usano sistemi informativi per il controllo degli inventari, il tracciamento degli ordini, i servizi ai clienti e lo scambio di dati (37% contro una media del 31%), usano Rfid (Radio Frequency Identification; 4,6% contro il 3,8%) come per esempio i codici a barre, sono presenti sui social network (12% contro il 14%) oppure adottano soluzioni in cloud (siamo quinti in Europa con un 20% rispetto a una media dell’11%). Dall’altro lato, le imprese italiane non sfruttano a dovere la Rete per vendere prodotti e servizi (solo il 5,1% contro il 15%) e non usano la fatturazione elettronica (5,4% rispetto all’11%). Ci sono quindi zone di luce e di ombra che richiamano l’area di specializzazione delle imprese, il loro mercato di riferimento e la loro leadership.

Servizi digitali e Pubblica Amministrazione. Complessivamente, è la dimensione su cui ci collochiamo meglio, al 15o posto. C’è un’ampia disponibilità di servizi online (78 su 100), leggermente superiore alla media (75 su 100). In particolare, ci sono segnali molto positivi nel settore della sanità dove il 31% dei medici è connesso in rete ad altri colleghi (rispetto al 36% europeo). In particolare, siamo 5i per quanto riguarda la legislazione e l’implementazione degli Open Data che non risulta solo formale ma sostanziale: registriamo un punteggio di 480 su 700 rispetto ai 380 punti della media europea. Tuttavia, il nodo veramente difficile da sciogliere riguarda la domanda di questi servizi che rimane bassa a causa dei livelli molto elementari di competenze digitali. Infatti, solo il 18% degli utenti usa i servizi disponibili contro il 33% degli europei e il 9,2% dei medici ricorre alla ricetta elettronica rispetto al 27%.

Questi dati suggeriscono che per liberare energie e risorse per l’innovazione socio-economica è importante tanto aggiornare l’infrastruttura (che richiede oggi scelte coraggiose e discontinue rispetto al passato) quanto investire pesantemente sulle competenze digitali (senza dare per scontato, ad esempio, che i giovani di oggi non ne abbiano bisogno). La vera notizia non è quindi la bocciatura, ma il disordine con cui il Paese si sta muovendo per il proprio futuro.