Il complesso del "cane bastardo". Se il buon giorno si vede dal mattino, oggi, all’indomani della fine della Coppa del Mondo, il Brasile sembra aver perso l’ottimismo di un tempo. Un ottimismo che,  fino ad alcuni anni fa, passava per i risultati economici e sociali delle politiche elaborate prima dalla presidenza Lula, poi da quella di Dilma Rousseff. I molti segnali positivi sono stati messi in ombra dalle enormi proteste di piazza durante la Confederation Cup, nel giugno 2013. L’ottimismo carioca era stato persino rinvigorito dai goal della nazionale di calcio che, almeno fino alla semifinale contro la Germania, sembrava poter seriamente aspirare al podio. Poi, però, si è sciolto come neve al sole nel giro di qualche giorno.

Il Brasile, a poche ore dalla finale di ieri, è ricaduto ancora una volta nel complesso della “vira-lata”, del “cane bastardo”, che per anni ha portato i brasiliani a sentirsi inferiori ai popoli delle altre nazioni. Si tratta di un complesso che l’ex presidente Lula ha a più riprese dichiarato di aver finalmente estirpato dalla mentalità dei suoi concittadini. Oggi, invece, la realtà è cambiata. Le vicende calcistiche hanno aperto una nuova stagione di riflessione non tanto sui media brasiliani quanto soprattutto sui media internazionali, ossia nella percezione di cui il Brasile per anni ha "goduto" all’estero.

Il dibattito riguarda non solo la gestione e l’organizzazione dei grandi eventi sportivi, ma anche il futuro del Paese. È noto come l’economia del Brasile stia attraversando uno dei peggiori momenti degli ultimi anni. Allo stesso modo, non fa notizia neppure la diffusa percezione che il denaro pubblico investito dallo Stato per i medesimi grandi eventi sportivi sia stato, in larga parte, speso male. Non v’è dubbio che sull’immagine pubblica della Presidenta pesino anche, come una spada di Damocle, i casi di corruzione che hanno travolto la dirigenza del suo partito, il Partido dos Trabalhadores (Pt). Per queste vicende, analizzate oggi, funge da cassa di risonanza lo shock causato dalle due cocenti sconfitte incassate sul campo di calcio. Ed è per questo che il malcontento scoppiato in alcune grandi città brasiliane (Belo Horizonte, São Paolo e Rio de Janeiro) è stato percepito come una forma di protesta diretta principalmente verso la presidenza e il suo partito. Eppure, a ben vedere, le proteste che hanno caratterizzato il Brasile a partire dallo scorso giugno hanno coinvolto l’intera classe politica e non il solo partito di governo. Negli ultimi sondaggi politici, alla sensibile diminuzione del gradimento verso la presidenza non è corrisposto, infatti, un altrettanto sensibile aumento nei riguardi dell’opposizione.

La società brasiliana, insomma, è molto più complessa dei risultati di una partita di calcio o dell’intero campionato del mondo. Dilma e il Pt lo sanno bene, e per questo hanno deciso di mantenere, per ora, un profilo basso. Una volta che le ferite calcistiche saranno rimarginate, si tornerà a parlare di politica e il Paese ripiomberà nel clima di campagna elettorale. Le elezioni presidenziali del prossimo ottobre, infatti, sono alle porte. La maggioranza sembra essere ancora salda nelle mani del Pt: benché Dilma abbia subito un piccolo calo, all’incirca il 40% dei brasiliani sembra essere a suo favore; seguono Neves e Campos che raccolgono, rispettivamente, il consenso del 16% e del 10% degli intervistati. Emerge dunque chiaramente un dissenso strisciante, più o meno velato, verso la presidenza. Al contempo, però, è chiara l’incapacità dell’opposizione di sfruttare questo momento di debolezza del Pt e del governo.

Così come, ieri, i brasiliani hanno guardato la finale della Coppa del mondo turandosi il naso e tifando per quella Germania che li ha umiliati di fronte al proprio pubblico, nel prossimo ottobre la nazione brasiliana, forse, si turerà il naso e voterà per il Pt. Il rischio è che in Brasile si sviluppi un sistema politico dove un solo partito abbia la capacità di consenso e la possibilità politica di raggiungere la presidenza. Ancora una volta, l’America Latina è preda dello spettro di una “democrazia a partito unico”. Tra qualche mese capiremo se davvero il Brasile di oggi ne è immune.