Sulla nomina della nuova Commissione. Il trattato Cee prevedeva che il presidente (e i due vicepresidenti, poi divenuti tre) della Commissione fosse designato di comune accordo fra i governi per due anni fra i membri della stessa Commissione. Nel caso in cui la designazione fosse avvenuta al di fuori del rinnovamento generale, il trattato prevedeva l'obbligo della consultazione (collettiva) del Collegio. L’intervento del Parlamento europeo non era previsto né per la designazione del presidente né per la nomina dell’intero Collegio. Già nel 1960 tuttavia, il rapporto Faure sulla fusione degli Esecutivi preconizzava un voto di investitura dell’assemblea mentre il rapporto Furler del 1963 proponeva di dare al Parlamento il diritto di scegliere il presidente su una lista presentata dai governi.

Il progetto Spinelli del 1984 ha proposto che la nomina del presidente avvenisse su decisione del Consiglio europeo, che il presidente avesse il potere di formare il Collegio dopo aver consultato il Consiglio europeo (procedura inversa rispetto a quella attuale) e che la Commissione ricevesse l’investitura del Parlamento dopo avergli sottomesso il suo programma.

Poiché il progetto non lo specificava, sia il Consiglio europeo (alla maggioranza dei voti ponderati essendo escluse dal calcolo le astensioni) sia il Parlamento (alla maggioranza dei voti espressi escluse dal calcolo le astensioni) avrebbero dovuto decidere a maggioranza semplice.

Durante l’elaborazione del progetto si era confrontate posizioni molto diverse: a) la nomina della Commissione in seduta comune del Parlamento e del Consiglio (scartata perché sarebbe stato difficile immaginare una riunione in seduta comune fra un organo parlamentare e uno intergovernativo); b) il potere di nomina attribuita al solo Parlamento (scartata per l’opposizione dei francesi contrari a un governo parlamentare e all’esautoramento degli Stati nazionali); c) la nomina affidata solo ai governi (evidentemente scartata dalla grande maggioranza della commissione affari istituzionali).

Il trattato di Maastricht ha introdotto l’obbligo di consultazione del Parlamento sulla designazione del presidente della Commissione e il voto di approvazione del Parlamento sull’insieme del Collegio. Il trattato di Amsterdam ha introdotto il potere del Parlamento di “approvare” il candidato designato dal Consiglio europeo mentre il trattato di Nizza ha introdotto il voto a maggioranza qualificata nel Consiglio europeo.

Durante i lavori della Convenzione sull’avvenire dell’Europa è stata avanzata la proposta dell’elezione a suffragio universale e diretto del presidente della Commissione, che sarebbe così divenuto il vero presidente dell’Unione di fronte al presidente del Consiglio europeo nominato dai soli governi. La proposta è stata considerata prematura per un’Unione lontana dal modello federale.

Vale la pena di ricordare la “dichiarazione n. 11” del Trattato di Lisbona che statuisce:

“La conferenza ritiene che, conformemente alle disposizioni dei trattati, il Parlamento europeo e il Consiglio europeo siano congiuntamente responsabili del buono svolgimento del processo che porta all'elezione del presidente della Commissione europea. Pertanto, rappresentanti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo procederanno, preliminarmente alla decisione del Consiglio europeo, alle consultazioni necessarie nel quadro ritenuto più appropriato. Conformemente all'articolo 17, paragrafo 7, primo comma tali consultazioni riguarderanno il profilo dei candidati alla carica di presidente della Commissione, tenendo conto delle elezioni del Parlamento europeo. Le modalità di tali consultazioni potranno essere precisate, a tempo debito, di comune accordo tra il Parlamento europeo e il Consiglio europeo».

Nel richiamare l’attenzione sulla mia nota diffusa immediatamente dopo le elezioni europee e il mio successivo articolo su «L’Unità» del 3 giugno, ricordo gli aspetti essenziali della procedura prevista dal Trattato di Lisbona secondo un modello – come ha scritto Notre Europe – che non è né di Vestfalia né di Westminster. Su questa questione Stefano Rodotà, cui avevo sottoposto il mio articolo, ha affermato che la posizione di Habermas e Hix è astratta perché non tiene conto che nessun candidato ha avuto la maggioranza assoluta e che il Parlamento europeo vince solo se sceglie la discontinuità.

Sulla base del Trattato e della dichiarazione n. 11 e scartando l’opinione di chi ha sostenuto che le sole opzioni sono di un candidato-presidente imposto dal Consiglio europeo e il candidato del partito europeo che ha conquistato la maggioranza relativa dei seggi nel Parlamento europeo (il PPE ha avuto il 28% dei voti espressi che corrispondono al 12,04% dell’intero corpo elettorale europeo e Juncker è stato eletto al Congresso di Dublino con 382 voti contro 245 voti a Barnier su 800 delegati), l’elezione del presidente della Commissione dovrebbe seguire lo schema che riepilogo qui di seguito.

  • Il Consiglio europeo del 26-27 giugno definisce, per quanto lo riguarda e alla maggioranza assoluta, le modalità delle consultazioni con il Parlamento europeo;
  • la conferenza dei capigruppo del nuovo Parlamento europeo concorda, a maggioranza e secondo il peso specifico dei gruppi, le modalità delle consultazioni con il Consiglio europeo. Il PE dovrebbe inoltre affermare il principio politico secondo cui le consultazioni devono consentire una valutazione sull’insieme delle nomine (presidente della Commissione, presidente del Consiglio europeo, Alto Rappresentante, presidente dell’Eurogruppo);
  • il presidente del Consiglio europeo, eventualmente coadiuvato dal presidente di turno del Consiglio dell’Unione che ha la responsabilità del Consiglio affari generali, avvia le consultazioni con il Parlamento europeo;
  • il Consiglio europeo, in seduta straordinaria, designa il candidato alla presidenza della Commissione a maggioranza qualificata;
  • il candidato designato incontra i gruppi politici del Parlamento presentand0 loro il programma della Commissione e i suoi orientamenti sulla composizione del Collegio ivi compresa la ripartizione e gli accorpamenti dei portafogli;
  • il Parlamento elegge il presidente alla maggioranza assoluta dei membri.

Secondo quest’analisi, il Consiglio europeo del 26 e 27 giugno prossimi non può e non deve designare il candidato o la candidata alla presidenza della Commissione europea. Solo se la procedura descritta qui sopra non fosse rispettata, ci troveremmo di fronte a un atto di disprezzo del Parlamento eletto e con esso della democrazia europea in statu nascendi.