Negli ultimi mesi, in più occasioni, la stampa ha ripreso alcune dichiarazioni di rappresentanti delle nostre istituzioni riferite all’eventuale esistenza del “segreto di Stato” su determinate vicende occorse nella storia recente e sulla conseguente opportunità di rendere conoscibili alcune delle informazioni riguardanti tali episodi. La direttiva del presidente del Consiglio dello scorso 22 aprile, che “toglierebbe il segreto” dagli atti relativi ai fatti di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna e rapido 904, ripresa dai principali organi di stampa, impone però una riflessione più ordinata, per distinguere natura e limiti dei diversi tipi di segreto legittimo che il nostro ordinamento riconosce e tutela.

Se è vero che in un sistema democratico "la pubblicità è la regola, il segreto l’eccezione, in ogni modo un’ecce­zio­ne che non deve fare venire meno la regola" [Bobbio], consideriamo quindi le "eccezioni" costituite dal segreto di Stato e dalle cosiddette informazioni classificate.

Non è stato possibile purtroppo, al momento in cui si scrive, acquisire l’intero testo della Direttiva del presidente del Consiglio, probabilmente perché a sua volta assoggettata a limitazioni di pubblicità (previste per molti regolamenti e direttive inerenti al segreto di Stato e che dovrebbero riferirsi però solo ad aspetti particolari di quest’ultimo, non anche alle informazioni classificate).

Il presidente del Consiglio, nel disegno della legge che disciplina questi particolari "segreti pubblici" (l. 124/2007), ha un ruolo formidabile. Gli compete l’alta direzione e la responsabilità generale della politica dell’informazione per la sicurezza ed è l’autorità competente in via esclusiva ad apporre il segreto di Stato e a confermarlo, qualora questo venga opposto da testimoni e da imputati nel corso di un procedimento penale, all’autorità giudiziaria, nonché a disporre la proroga o, viceversa, la cessazione anticipata del vincolo di segretezza (che, dice la legge, può durare 15 anni, prorogabili al massimo di altri 15).

Possono essere assoggettati a segreto di Stato “gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno all'integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, all'indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato” (art. 39, l. 124/2007). La legge non definisce compiutamente, né potrebbe farlo, cosa possa costituire oggetto di segreto di Stato ma dice cosa sicuramente non può essere coperto da questo speciale vincolo: i delitti di terrorismo e di eversione dell’or­dine costituzionale, i reati di associazione di tipo mafioso, di scambio elettorale politico-mafioso e di strage.

La stessa legge disciplina inoltre, per la prima volta, il sistema di classificazione delle informazioni. Le informazioni classificate, distinte e diverse dal segreto di Stato, implicano l’apposizione di un vincolo graduato di segretezza (articolato nei livelli «riservato», «riservatissimo», «segreto», «segretissimo») volto ad assicurare la tutela amministrativa di informazioni, documenti, atti, attività o cose la cui diffusione sia idonea a recare un pregiudizio agli interessi fondamentali della Repubblica. Questo vincolo può essere posto da specifici soggetti di ogni amministrazione e non è opponibile all’autorità giudiziaria, che potrà acquisire documenti ritenuti rilevanti e di cui dovrà assicurare misure di protezione idonee a evitarne un’ulteriore circolazione. Al presidente del Consiglio compete la verifica del rispetto delle norme in materia di classifiche di segretezza, competenza che include l’adozione di direttive per la protezione e la tutela amministrativa delle informazioni classificate.

La Direttiva del presidente del Consiglio del 22 aprile, da quanto noto, incide principalmente sulla conoscibilità di alcuni documenti sottoposti a classifica di segretezza, disponendone la declassificazione. La Direttiva costituisce attuazione delle specifiche competenze del presidente del Consiglio nella sua veste di Autorità nazionale per la sicurezza. Questi, nella generalità dei casi, e gli organi di sicurezza di un'amministrazione o ente sovraordinati a quello che ha originato l'informazione, possono infatti disporre la variazione o l’eliminazione di una classifica di segretezza, originariamente attribuita da un’autorità sottordinata (art. 19, d.p.c.m. 22 luglio 2011).

La direttiva incide su un ulteriore aspetto, fondamentale per l’effettiva conoscibilità degli atti già sottoposti a segreto di Stato o a classifiche di segretezza.

L’accesso a questi atti, in un primo momento, e cioè quando sia disposta la cessazione del vincolo, dipende infatti da una valutazione delle caratteristiche dei soggetti che lo chiedono, secondo criteri anche più rigidi di quelli previsti dalla legge 241/1990 che definisce l’accesso agli atti della pubblica amministrazione. Il problema si pone soprattutto in relazione a quanto possa essere fondato e quindi consentito il diritto di accesso a studiosi e giornalisti, e comunque per motivi di studio e di ricerca. Da precisare che l’accesso cui si è fatto ora riferimento può essere richiesto quando, decorsi i termini di durata dei vincoli di segretezza, i documenti siano ancora nelle disponibilità delle amministrazioni che hanno disposto il vincolo.

La più ampia fruizione dei documenti da parte, ad esempio, di storici e giornalisti, può avvenire pienamente solo in un secondo momento, allorché i documenti siano trasmessi (tecnicamente "versati") all’Archivio di Stato, che è tenuto a rispettare il principio della libera consultabilità dei documenti conservati. Tale operazione di trasferimento è prevista, per tutti i documenti di tutte le amministrazioni, dopo almeno 40 anni dal momento in cui le pratiche cui si riferiscono siano esaurite e presuppone una necessaria operazione di scarto, attraverso cui si accerta quale sia la documentazione effettivamente da trasferire, trattenendo o coprendo con “omissis” eventuali aspetti potenzialmente lesivi di altri diritti (ad esempio la privacy di soggetti coinvolti).

Al di là della buona volontà testimoniata dalla Direttiva, sarebbe più significativo, in termini del perseguimento degli obiettivi di trasparenza dichiarati, che venissero garantiti i tempi e l’effettiva accessibilità di tutti i documenti in precedenza sottoposti a uno dei due vincoli di segretezza descritti, oltre quelli riferiti ai 7 casi specifici oggetto della Direttiva. Sarebbe cioè importante che venisse sistematicamente garantito l’accesso, prima e la consultazione presso l’Archivio di Stato poi, di quel magma di informazioni assoggettate a vincolo di segretezza per il quale sia già maturato il periodo massimo di durata. Ricordiamo infatti che la durata massima del segreto di Stato è di 15 anni, rinnovabile di altri 15 (in tutto 30 anni, quindi); per le informazioni classificate la durata massima è invece di 10 anni, rinnovabile per altri 5 anni salvo proroga speciale oltre i 15 anni, disposta dal presidente del Consiglio.

Da notare che per le informazioni classificate la legge 124/2007 prevede che il regime di declassificazione degli atti sia, ordinariamente, "automatico" e cioè si verifichi al semplice decorrere del periodo di tempo per il quale è stato posto il vincolo, senza che sia necessario nessun intervento del presidente del Consiglio o di altra autorità.

L’accesso agli atti in precedenza classificati dovrebbe quindi essere praticabile automaticamente, al decorrere del quindicesimo anno, mentre occorrerebbe attendere almeno 40 anni per il versamento delle medesime informazioni nell’Archivio di Stato.

E non sono poche né secondarie le vicende occorse più di 15 o più di 30 o di 40 anni fa, oltre alle 7 citate, di cui vorremmo sapere di più.