La Spagna dopo le elezioni in Galizia e nei Paesi Baschi. Domenica 1 marzo si è votato in Galizia e nei Paesi Baschi per rinnovare i Parlamenti e, di conseguenza, i governi delle due Comunità Autonome. Forte l’attesa per i risultati, che sono stati caricati nel corso della campagna elettorale di significati politici che andavano ben oltre la posta  in gioco.

Si trattava di verificare anzitutto la tenuta dei due principali partiti. Dei socialisti al governo, perché sottoposti al logoramento della gestione di una crisi finanziaria ed economica che in Spagna si è avvertita più pesantemente che altrove. Dei popolari all’opposizione, perché colpiti negli ultimi mesi da vari scandali, specie nella Comunità di Madrid, e perché divisi al proprio interno sulla leadership di Mariano Rajoy. Si trattava, poi, di verificare, da una parte, la capacità di recupero del Pp nella sua tradizionale roccaforte, la Galizia, dal cui governo era stata scalzata nelle ultime elezioni autonomistiche dai socialisti alleati dei nazionalisti galiziani; dall’altra, nei Paesi Baschi, la tenuta dei nazionalisti moderati del Pnv, ininterrottamente al governo dal 1980, e dove sarebbe andato a parare il voto dei nazionalisti radicali, una volta impedito a Batasuna di prendere parte alla competizione.
Il risultato elettorale appare contraddittorio, di difficile decifrazione e tale da non consentire l’applicazione alle due realtà di chiavi interpretative valide per leggere le dinamiche politiche sul piano nazionale.

Ma, andiamo per ordine e cominciamo da chi ha vinto e chi ha perso sul piano locale.  In Galizia hanno vinto i popolari (passati da 37 a 39 seggi), perso socialisti (scesi da 25 a 24) e nazionalisti galiziani (da 13 a 12). Nei Paesi Baschi hanno vinto i nazionalisti moderati (passati da 29 a 30 seggi), i socialisti hanno compiuto un considerevole balzo in avanti (da 18 a 24 seggi) e perso i popolari (da 15 a 13). Per la prima volta dal 1982, anche sommando i voti dei radicali a quello dei moderati, lo schieramento nazionalista basco si trova privo dei numeri per governare. La vittoria del PP nella sua Galizia ha indubbiamente rafforzato la leadership di Rajoy nel partito. Il forte avanzamento dei socialisti in Euskadi ha premiato la scelta, compiuta da Zapatero, del candidato alla presidenza del governo basco. Per motivi diversi, Zapatero e Rajoy, non escono dunque mal parati dal confronto elettorale.
Il discorso e con esso il giudizio cambia se si guarda avanti e si riflette sulle prospettive. La situazione della Galizia appare definita e non presenta problemi per i popolari. Essi ritornano alla guida della Comunità Autonoma dopo una parentesi di quattro anni che, come si è visto, non ne ha minato il radicamento sociale e il consenso. La loro strada è in discesa, mentre tutta in salita è quella dei socialisti che dovranno riorganizzare il partito e ripartire da un nuovo leader regionale.
Del tutto diversa la situazione in Euskadi, dove sulla carta si aprono varie possibilità, ciascuna della quali carica di possibili complicazioni e conseguenze. Un primo scenario vede un accordo di legislatura tra socialisti, popolari e il rappresentante ottenuto dall’Unione per il Progresso e la Democrazia (Upd), la nuova formazione laica e centrista, scesa in campo per la prima volta alle politiche del 2008. Controindicazioni: sarebbe un patto in funzione antinazionalista che accentuerebbe la spaccatura tra i baschi nazionalisti e quelli che non lo sono; porterebbe di fatto i socialisti sulle posizioni del Pp che da anni punta alla sconfitta del Pnv anche a costo di allearsi con i socialisti. Inutile aggiungere che una spaccatura di questo tipo sarebbe sfruttata dal nazionalismo radicale per rilanciare il tema dell’“occupazione” spagnola delle “loro” terre.  Un secondo scenario è quello che vede un governo di minoranza del Pnv che di volta in volta chiederebbe il voto ai socialisti. Motivi che rendono tale soluzione improbabile: il Psoe che ha ottenuto il miglior risultato elettorale in termini di crescita dei consensi, finirebbe per fare da puntello al Pnv, esponendosi alle pesanti bordate del Pp, che da sempre lo incalza giudicando la sua politica troppo arrendevole nei confronti dei nazionalismi periferici. Terzo scenario: un governo di minoranza dei socialisti che, non diversamente da quello raffigurato nello scenario precedente, dovrebbe ricorrere al voto degli altri gruppi (popolari e Udp) di volta in volta. Controindicazioni: seppur in termini attutiti rispetto al primo scenario, tale soluzione riproporrebbe la stessa spaccatura, nella società e nel Parlamento di Vitoria. C’è un quarto scenario, che pochi, a quanto pare, prendono in considerazione: quello di un patto di legislatura tra Pnv e socialisti che isolerebbe da una parte il nazionalismo radicale, dall’altra il Pp. Una coalizione di questo tipo aveva già governato la Comunità  Autonoma dal 1986 all’estate del 1998, prima cioè che il Pnv decidesse di fare da solo o di contare sull’appoggio del nazionalismo radicale. Allora la presidenza del governo era rimasta saldamente nelle mani del Pnv, che difficilmente potrebbe ottenerla ora. Nel primo caso sarebbe un ritorno all’antico, nel secondo una significativa inversione di tendenza. Per questi motivi, difficilmente Pnv e socialisti troveranno l’accordo. In conclusione, sebbene il risultato delle elezioni galiziane e basche non abbia lasciato sul campo inequivocabili vincitori e vinti, esse hanno creato seri problemi solo nel campo socialista.