In Italia di prostituzione si parla troppo poco. O, come accade anche per molti altri temi importanti, se ne parla solo in occasione di specifici fatti di cronaca. Per lo più quando la politica si ricorda che per ottenere consenso è possibile cavalcare senza troppa fatica l’argomento e i suoi derivati (sicurezza e degrado, innanzitutto). E così di tanto in tanto arriva qualche nuova crociata anti-lucciole.

L’elenco delle molte strumentalizzazioni politiche è lungo. Basti ricordare l’enfasi con cui Silvio Berlusconi nel lontano 2002 annunciò che avrebbe tolto tutte le prostitute dalla strada (ogni battuta sul punto è fuori luogo). O le campagne che si sono succedute in molti comuni italiani, non solo a guida leghista, per combattere la prostituzione e “restituire il decoro” alle città.

Dunque, come si sarebbe scritto in una recensione degli anni Settanta, il tema è “controverso” e “spinoso”. Controverso perché non sembra esserci una soluzione valida per tutti, anche a guardare quello che fanno i nostri vicini europei. Si pensi ai casi di due Paesi protestanti – seppure diversamente protestanti – come la Germania e la Svezia, che nei confronti del sex working hanno adottato politiche diametralmente opposte. Spinoso perché coinvolge una bella fetta di popolazione, tra chi offre sesso a pagamento e chi lo cerca e lo compra. Come illustra molto bene e con chiarezza un libro appena pubblicato (Giulia Garofalo Geymonat, Vendere e comprare sesso) i numeri vanno presi con le pinze, poiché, come accade per tutti i settori dove la quota di sommerso è elevata, si tratta di numeri tutt’altro che certi. Ma anche così, la dimensione del fenomeno è impressionante. E i risvolti non ignorabili. Si pensi alla tratta dei migranti, ai frequenti casi di sfruttamento e violenza, agli abusi e alle discriminazioni che subiscono i sex workers. Come l’autrice ricorda in più punti del libro, la prostituzione e la sua stigmatizzazione non sono fatte solo di leggi e di regolamenti, ma anche di rapporti sociali, culturali ed economici: il fortissimo stigma sociale che accompagna chi offre sesso a pagamento porta così a sviluppare in molti casi una vera e propria doppia vita che, accompagnato al senso di vergogna interiorizzato, favoriscono abusi e discriminazioni nei luoghi di lavoro, negli ospedali, nei tribunali. Lo sfondo culturale è quello che associa a chi vende sesso un comportamento di devianza; a chi lo compra quello della normalità, sull’onda del “così fan tutti”.

La prostituzione è dunque un fenomeno in gran parte ignorato, che tuttavia, almeno chi vive in una grande città, ha ogni giorno sotto gli occhi. Gail Pheterson, una femminista americana che lavora in Francia, ha messo bene in evidenza questa forte contraddizione, adottando la metafora del prisma; luccicante e trasparente attrae continuamente lo sguardo su di sé, ma al tempo stesso lo devia. E ci parla sempre anche di altri aspetti della nostra psiche e della nostra società, che illumina, deforma e decompone.