Colombia al bivio. 20 novembre, sera. Il presidente della Repubblica Juan Manuel Santos annuncia che si ricandida per le elezioni del prossimo maggio. 21 novembre, mi sveglio e accendo la W Radio, come tutte le mattine: si domanda agli ascoltatori chi voterebbero fra i diversi candidati e quasi tutti, senza dubbi, dichiarano di preferire Óscar Iván Zuluaga, il candidato della destra, ossia del Centro democratico, il partito personale dell’ex presidente Alvaro Uribe, che non puó correre per le presidenziali a causa del limite costituzionale di due mandati giá raggiunto. Sicuramente quelli che intervengono alla radio di prima mattina sono militanti o persone interessate a esprimere la rabbia verso il governo, ma provocano allo stesso commentatore un piccolo segno di disagio.

I sondaggi raccontano tuttavia un’altra storia: nessun candidato in questo momento sembra raccogliere un consenso tale da spodestare Santos; inoltre l’ufficializzazione della sua candidatura avviene in un momento caratterizzato da una risalita nei sondaggi dopo il crollo di popolarità della scorsa estate, acuito dalla pessima gestione dello sciopero del settore agrario che aveva bloccato il Paese per alcune settimane. La firma del secondo punto (su cinque) degli accordi di pace con le Farc – relativo alla partecipazione politica – sembra aver riportato un po’ di ottimismo verso il governo e i negoziati. È proprio sul tema della pace che Santos si gioca la rielezione: l’unica forza politica contraria al negoziato è quella di Uribe, che continua a sostenere l’inesistenza di un conflitto interno e la natura fondamentalmente terrorista delle Farc. Uribe gioca sulle contraddizioni di Santos, che in veste di ex ministro della difesa del suo governo sostenne la politica di “Sicurezza Democratica” che della guerra al “narcoterrorismo” delle Farc faceva la sua bandiera. Santos al contrario, ha iniziato il suo mandato riconoscendo l’esistenza di un conflitto interno e le Farc come attore politico. Inoltre ha approvato una legge per le vittime civili della violenza perpetrata da tutti i gruppi armati illegali (paramilitari e guerriglieri) e dalle forze dello Stato.

Il problema di Uribe sta nello scarso appeal del suo candidato alla presidenza: Oscar Iván Zuluaga, ex ministro dell’economia e rispettato tecnocrate, non è molto conosciuto dall’opinione pubblica. Per vendere il “prodotto” Uribe ha deciso di metterci letteralmente la faccia: come simbolo del partito sono stati scelti il suo volto e il suo nome. Si cerca così di approfittare dell’alto indice di gradimento dei colombiani nei confronti dell’ex presidente, come dimostra la sua recente elezione a “El Gran Colombiano”, in un concorso indetto da History Channel e votato da milioni di persone.

Nonostante la situazione sia ancora in evoluzione, non sembra esserci un terzo candidato capace di superare il primo turno e arrivare al ballottaggio. La sinistra, o per meglio dire le forze politiche estranee sia all’uribismo che ai partiti tradizionali che sostengono Santos, sono divise più da personalismi che da reali divergenze nei programmi. Ci saranno quindi almeno altri tre candidati: Antonio Navarro dell’Alianza Verde, Clara López del Polo Democrático e Aida Avella dell’Unión Patriótica (Up). Quest’ultima è la vera “novitá” dello scenario politico colombiano: il ritorno di un partito vittima fra gli anni Ottanta e Novanta di quello che è stato guidicato come un “genocidio politico”.

La Up nacque nel 1985 come strumento di partecipazione politica di alcuni gruppi guerriglieri, fra cui un fronte smobilitato delle Farc, dai quali in seguito prese le distanze per farsi portavoce di un progetto di pace democratica e duratura. Il partito fu vittima di uno sterminio sistematico da parte del paramilitarismo, dai narcotrafficanti e delle forze dello Stato: durante un decennio furono uccisi due candidati presidenziali, vari deputati e sindaci, e circa 5000 militanti. Lo scorso luglio, il Consiglio di Stato ha restituito la “personalità giuridica” alla UP della quale era stata privata dopo le elezioni del 2002 per non aver raggiunto un risultato sufficiente. La presenza della Up è particolarmente importante in questa delicata fase di transizione politica. Uno degli aspetti centrali dell’accordo sulla partecipazione politico-elettorale agli ex-guerriglieri è infatti legato alle garanzie di sicurezza per “poter far politica”. Garanzie che in Colombia sono fondamentali di fronte a una realtà quotidiana contraddistinta da violenza e minacce a difensori dei diritti umani e leader di movimenti sociali da parte del “nuovo” paramilitarismo, come denunciato dal Movimento delle Vittime di Crimini di Stato.

Sul processo di pace e sulle reali garanzie di partecipazione politica si gioca il futuro della democrazia colombiana: le prossime elezioni di maggio saranno la chiave per capire se il Paese voglia veramente provare a uscire dal vortice di violenza che dura da oltre cinquant’anni.