Il 2003 fu un anno interessante per la storia dei diritti delle persone gay e lesbiche negli Stati Uniti. A giugno, con la sentenza Lawrence v. Texas, la Corte suprema federale dichiarò incostituzionali le ultime sodomy laws – leggi che sanzionavano penalmente i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso – ancora in vigore in quattordici Stati, quasi tutti collocati nel Sud. Nel novembre seguente, con la sentenza Goodridge v. Department of Public Health pronunciata dalla Corte Suprema del Massachusetts, lo Stato del New England diventava il primo a legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso. In pochi mesi, nelle aule di giustizia e per bocca di magistrati di altissimo rango, erano state pronunciate parole importanti – libertà, dignità, uguaglianza – che raramente, fino ad allora, si erano udite accostare alla vita delle persone omosessuali. Secondo i giudici del Massachusetts, in particolare, “la negazione delle protezioni, dei benefici e degli obblighi conferiti dal matrimonio civile a due individui dello stesso sesso che desiderano sposarsi” si poneva in contrasto con la Costituzione dello Stato, che “afferma la dignità e l’eguaglianza di ogni individuo” e “proibisce la creazione di cittadini di seconda classe”.

La reazione dei gruppi conservatori non tardò ad arrivare: se prima del 2003 solo quattro Stati avevano emendato la propria Costituzione per restringere la nozione di matrimonio all’unione eterosessuale, in occasione della tornata elettorale del 2004 i cittadini di ben tredici Stati furono chiamati a votare referendum che andavano in questa direzione, mettendo al bando i same-sex-marriage e, in molti casi, anche le unioni civili. Tutte le iniziative referendarie furono approvate con ampie maggioranze. Nel complesso, ad oggi sono trenta gli Stati che proibiscono il matrimonio egualitario con norme di rango costituzionale, mentre altri si sono dotati di leggi ordinarie aventi lo stesso scopo.

A metà degli anni 2000 sembrava quindi che l’avanzata dei diritti delle persone gay e lesbiche negli Stati Uniti si fosse arrestata. D’altronde, lo sviluppo del movimento Lgbt aveva seguito anche nei decenni precedenti lo schema comune a molti movimenti di protesta, con l’alternanza tra brevi e intense fasi di azione e più lunghi periodi di reazione e repressione. E in effetti fino al 2008 il Massachusetts rimase l’unico Stato dell’Unione a consentire il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Ma nel frattempo il movimento cresceva e si organizzava, e la visibilità Lgbt diventava sempre maggiore. Conseguentemente, cambiava anche l’orientamento dell’opinione pubblica: se nel 2004, secondo i sondaggi, in media il 33% degli americani si dichiarava a favore del matrimonio egualitario, da allora la quota dei favorevoli è aumentata stabilmente a un tasso di crescita medio del 2% ogni anno. Tra il 2010 e il 2011, il numero dei favorevoli ha mediamente superato quello dei contrari, e nelle rilevazioni condotte nel corso del 2013 si è collocato al di sopra del 50%, con punte di consenso assai elevato tra i democratici, gli indipendenti e gli under 30. Il mutamento dell’opinione pubblica è da attribuire in parte al ricambio generazionale, ma è merito anche del fatto che una consistente fetta della popolazione ha cambiato idea sulla questione: persino tra i repubblicani, coloro che si dichiarano a favore del same-sex-marriage oscillano tra il 23 e il 34%, secondo i sondaggi condotti nell’anno in corso.

Nel 2009 il Vermont fu il primo Stato a introdurre il matrimonio egualitario per via legislativa, e nel novembre 2012, per la prima volta, i cittadini di tre Stati (Maine, Maryland e Washington) lo approvarono per via referendaria. Con il recente voto delle assemblee legislative in Illinois e nelle Hawaii, le coppie gay e lesbiche possono contrarre matrimonio in sedici Stati (ai quali si aggiunge la capitale federale, Washington D.C., che ha uno statuto amministrativo a sé), mentre altri quattro (Nevada, Oregon, Wisconsin e Colorado) riconoscono le unioni civili, con diritti e doveri simili al matrimonio. 

Molto ha giocato, in questo sviluppo, il cambiamento del quadro politico e giurisprudenziale: la prima presidenza Obama è stata costellata di importanti progressi normativi per le persone LGBT. Nel maggio 2012, quando Obama ha dichiarato che “le coppie dello stesso sesso dovrebbero potersi sposare”, ha “messo a disposizione della lotta centenaria per i diritti dei gay la propria autorità morale”, come ha osservato The Nation; un impegno che il presidente ha confermato nel discorso inaugurale del secondo mandato. D’altro canto, con la sentenza U.S. v. Windsor del giugno 2013, la Corte Suprema federale ha dichiarato incostituzionale l’art. 3 del Defense of Marriage Act del 1996, la legge che vietava al governo federale di riconoscere la validità e gli effetti dei matrimoni same-sex contratti all’estero o in singoli Stati dell’Unione che lo consentissero. La decisione giudiziaria sta già dispiegando i suoi effetti sul piano sia tecnico sia politico, ed è lecito attendersi altre conseguenze nei prossimi mesi.

E tuttavia è probabile che l’avanzata del same-sex-marriage subisca un rallentamento negli anni a venire: da un lato azioni giudiziarie e referendarie sono in corso o in programma in vari contesti, e i progressi degli anni recenti non hanno scatenato reazioni conservatrici analoghe a quelle passate (al contrario, come si è detto, la quota dei favorevoli è cresciuta stabilmente, anche negli anni della rivolta del Tea Party). D’altra parte i 16 Stati che hanno adottato il matrimonio egualitario, pur rappresentando una massa critica importante (ospitano circa il 38% della popolazione nazionale), sono collocati prevalentemente nel Nordest, nel Midwest e lungo la costa Ovest, cioè in aree di tradizionale insediamento democratico e progressista.

Insomma, come ha affermato Obama citando Luther King durante le celebrazioni del cinquantenario della Marcia di Washington, “l’arco dell’universo morale potrà piegare verso la giustizia, ma non si piega da solo”.