Stiamo entrando - come ha scritto Timothy Garton Ash - in quella che si annuncia come la più interessante campagna elettorale europea dal 1979, l’anno in cui per la prima volta abbiamo votato per eleggere i nostri rappresentanti al Parlamento dell’Unione. Stando ai sondaggi, quella che si insedierà nel 2014 potrebbe essere la prima legislatura europea a dover fare i conti con la presenza di una consistente, pur se variegata, minoranza composta da partiti che hanno un atteggiamento di forte scetticismo, quando non di aperta ostilità, nei confronti dell'Europa comunitaria e delle sue istituzioni.{C}

Come osserva Garton Ash, è riduttivo - e probabilmente controproducente - liquidare questo fenomeno politico in crescita ricorrendo alla etichetta di "populismo". Nel giardino anti-europeo crescono piante di diversa provenienza, e altre potrebbero trovarvi terreno fertile nei prossimi mesi. Sarà molto "interessante" vedere, ad esempio, che atteggiamento prenderà, nel nostro Paese, la nuova Forza Italia. La tentazione di giocar la carta del malcontento contro l'austerità voluta da Bruxelles e dalla Merkel potrebbe essere forte. Troppo forte perché un Berlusconi in declino riesca a resisterle.

Chi è incline al pessimismo, come Garton Ash, può trovare conferma per il proprio stato d'animo nelle notizie provenienti da Berlino. La trattativa in corso tra Democristiani e Socialdemocratici per formare un governo di coalizione sembra avviarsi verso un compromesso che prevede che Sigmar Gabriel accetti la chiusura della Merkel nei confronti dell'ipotesi degli eurobond in cambio di aperture su alcune misure sociali. La profezia di Ralf Dahrendorf si avvera: la politica nazionale rimane decisiva. Anche se, in un certo senso, abbiamo assistito alla nascita di uno "spazio pubblico" europeo, questo non ha segnato affatto la scomparsa delle politiche nazionali. Al contrario, la prossima campagna elettorale si giocherà proprio sulle questioni nazionali, in un'atmosfera di crescente diffidenza e di pessimismo che dovrebbe indurre anche i più ottimisti a qualche ripensamento.

Che fare? Difficile dirlo. Per il momento mi limito a qualche osservazione su quel che non si dovrebbe fare (unita a qualche critica a quel che si è fatto, e sopratutto al modo in cui lo si è fatto). Se dovessi sintetizzare il difetto più grave che hanno le classi dirigenti che hanno gestito in questi anni il processo di unificazione europea, non saprei trovare parole migliori di quelle usate da W.H. Auden subito dopo la seconda guerra mondiale, in una poesia in cui annunciava l'avvento di un nuovo genere di leader politico: "Men, working too hard in rooms that are too big, / Reducing to figures/ What is the matter". L'ironia graffiante di Auden esprime in modo efficace il senso di estraneità con cui una parte crescente dell'elettorato di diversi paesi dell'Unione contempla un ceto di "philosopher-kings" troppo occupati a ridurre i fatti a cifre per rendersi conto che il clamore che si avverte non è più provocato soltanto da gruppuscoli di estremisti o di nostalgici stravaganti.

Non è difficile comprendere i meccanismi psicologici di questa rimozione. La perfida ironia di Platone sulle assemblee democratiche, in cui chiunque prende la parola per dar consigli, tocca un soft spot di molti Civil Servants (più o meno) prestati alla politica. L'abbiamo visto anche di recente, nei goffi tentativi di riproporre una legittimazione teorica dei governi degli ottimati senza fare i conti con il peso che queste tesi scaricano su spalle che non sono in grado di sopportarlo. Bisogna prendere atto che la convinzione di Walter Hallstein che la "logica delle cose" (Sachlogik) avrebbe spinto i cittadini europei verso una sempre maggiore unione, si è rivelata fallace. L’amministrazione delle cose non può sostituirsi al governo delle persone. Forse siamo ancora in tempo a cambiare strada, ma per farlo dovremmo, tanto per cominciare, prestare ascolto a chi, come Ralf Dahrendorf, Tony Judt o lo stesso Garton Ash, ci ha messo sull'avviso denunciando l’autoindulgenza dei tecnici che coltivavano la fantasia di essere dei "philosopher-kings".